"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

28.  Filosofia fortuita prima

 


«Il paziente mostra evidenti spunti paranoici di megalomania: dichiara di essere un grande filosofo»
 (Dalla cartella psichiatrica di Nietzsche al manicomio di Jena, 1889).

AMLETO - Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia.

(Atto I, sc. 5)

 

AMLETO - Perché ora mio zio è re di Danimarca, e quelli che gli facevan boccacce quando mio padre era vivo, ora pagano venti, quaranta, cinquanta, cento ducati per la sua miniatura. Perdio, c'è come un progetto soprannaturale in questo, se solo la filosofia sapesse scoprirlo.»

(Atto II, sc. 2)

 

 

Se ha del metodo, ha dei limiti: la filosofia conoscerà (Amleto dice «sognerà») molte meno cose di quante ve ne siano in cielo e tutt’al più sospetterà un «disegno soprannaturale»: c’è del rigore kantiano nella sua follia. Che non sia un pensare per caso, potrebbe dimostrarlo anche che tesse lo stesso gomitolo di pensieri questa battuta di Lafeau:

 

«Si dice che il tempo dei miracoli è passato, e vi sono presso di noi teste filosofiche che ci rendono giornaliere e familiari le cose soprannaturali e inesplicabili. Perciò riteniamo come sciocchezze le cose spaventose, e ci trinceriamo dietro una scienza apparente, mentre dovremmo invece sottometterci a un ignoto timore.»

(Tutto è bene quel che finisce bene, Atto II, sc. 3)

 

 

La soluzione è più morigerata di quella di Amleto, ma la soluzione conta molto meno dell’individuazione del problema, che è lo stesso n ei due testi. - «Shakespeare non conosceva la filosofia.» (J. Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Milano 2006) è probabilmente una frase senza senso. Chissà intanto cosa intenderà questa frase per filosofia.

 

Non sarà piuttosto anche Amleto l’esemplare di «una nuova figura: un filosofo non premeditato e fortuito!» (M. de Montaigne, Saggi, vol. II, Milano 1986)? – E’ indiscutibile che un po’ di buona tecnica, il funambolo del sillogismo, la sa. A parte il becchino, è sempre più svelto e acuto lui  a cavare le inferenze dei discorsi che gli si fanno, lasciando socraticamente perplessi gli autori degli stessi: visto che non sapevi neppure cosa in realtà tu dicevi? «La maggior parte degli uomini sono ricchi di una scienza estranea…» (M. de Montaigne, Saggi, vol. III, Milano 1986). Appunto. Spesso bara, ma mica ha di fronte l’accademia di chissà che, pronta con la matita rossa quando sgarra. E poi lo scandalo è lo scopo: fine che giustifica il mezzo.

 

 

 

Ha un ventaglio che va dalla sofistica più sadica – con le donne! - alla mistica a cui basta la caduta d’un passero e un guscio di noce per saltare nell’infinito: troppo per essere preso sul serio? Ma poi sul serio da chi? - Crede molto più nel l’involontarietà del significante che nei significati premeditati: quindi giochi di parole, echi parodistici, derive verso il caos... «Metodo, Metodo, che mai mi chiedi? Tu ben sai che ho morso il frutto dell’Incoscienza!» (J. Laforgue, Amleto, ovvero Le conseguenze della pietà filiale). Ma è un pagliaccio onesto, e ha le ossessioni giuste, come del resto il Re: come si può essere certi di qualcosa? Che uno Spettro sia «onesto», che un fatto sia la prova sicura di un altro… Poi, come tutti, sbaglia.

 

Però con lui, la filosofia «odiosa e oscura» (C. Marlowe, Dottor Faustus, Atto I, sc. 1) diventa alla bisogna allegra, e «beffarsi della filosofia è filosofare davvero» (B. Pascal, Pensieri).

Glossa plumbea:

 

«queste tragedie costituiscono una reazione e una risposta alla crisi del sapere scatenata dall’avvento della nuova scienza tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, vale a dire una reazione e risposta al moderno scetticismo che in filosofia verrà articolato meglio da Cartesio una generazione dopo quella di Shakespeare.»

(S. Cavell, Il ripudio del sapere. Lo scetticismo nelle tragedie di Shakespeare, Torino 2004)

 

Si può leggere Shakespeare e poi scrivere così male? Davvero è tutto qua il puzzle? (Del resto, un libro il cui massimo humour è una cosaccia così: «se la filosofia non interessa le donne, chi ci rimette, la filosofia o le donne?»…).

 

 

 

Il noioso Cavell dà ragione a certe fisse di Cioran, ma Cioran ha torto: non è vero che un metafisico non può «avere il senso del ridicolo molto sviluppato» (E. M. Cioran, Quaderni. 1957-1972, Milano 2001). Questo lo dice perfino Erasmo («O non vedete i visi tetri di coloro che si dedicano allo studio della filosofia, o ad altre serie e ardue occupazioni?» Elogio della follia, cap. XIV). Al contrario! E tutto Amleto lo dimostra: sono i tizi con scarso spirito filosofico che restano di sale e che, non capendo la battuta, diventano ridicoli, cercando subito  d’aggrapparsi, come se fosse il bordo di un comò, a qualcosa di serio, di fisso e inconfutabile!…

 

Se i filosofi son tristi non è colpa della filosofia. Se non c’è fashion nei dotti non amletici, non è certo per la mancanza di un look tra dark e freak (che tra l’altro in tempi aristocratici appariva certo scandaloso e oggi è solo demagogico), ma soprattutto d’un’eleganza di tratto e di voce che in un discolo come Amleto, con tutti i difettacci suoi,  si dà comunque! La grazia del Castiglione (siamo sempre lì) come potrebbe non essere una grazia del pensiero? … Sempre Cioran ha questo lampo: «L’essere ideale? Un angelo devastato dallo humour» (L’inconveniente di essere nati). Quest’angelo decaduto da cielo in terra a disastri mostrare sarà, al meglio del suo peggio, anche Amleto: «Sull’orlo della tomba ancora fresca di Ofelia, il pubblico ride della facondia dei becchini filosofeggianti.» (B. Pasternak, Annotazioni alle tragedie shakespeariane, in Quintessenza, Venezia 1990).

 

Grandezza socratica di Amleto che sa stare al gioco dialettico dello scavafosse senza arroganza: sorpreso e affascinato, farà da spalle a uno più loico di lui per vedere fin dove si potrà arrivare.

Uno dei problemi di Amleto sarà stato anche la carenza di maestri?


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