«Il paziente mostra evidenti spunti paranoici di megalomania: dichiara
di essere un grande filosofo»
(Dalla cartella psichiatrica di Nietzsche al manicomio di Jena,
1889).
AMLETO -
Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la
tua filosofia.
(Atto I, sc. 5)
AMLETO -
Perché ora mio zio è re di Danimarca, e quelli che gli facevan boccacce
quando mio padre era vivo, ora pagano venti, quaranta, cinquanta,
cento ducati per la sua miniatura. Perdio, c'è come un progetto
soprannaturale in questo, se solo la filosofia sapesse scoprirlo.»
(Atto II, sc. 2)
Se ha del metodo, ha dei limiti: la
filosofia conoscerà (Amleto dice «sognerà») molte meno cose di quante
ve ne siano in cielo e tutt’al più sospetterà un «disegno
soprannaturale»: c’è del rigore kantiano nella sua follia. Che non sia
un pensare per caso, potrebbe dimostrarlo anche che tesse lo stesso
gomitolo di pensieri questa battuta di Lafeau:
«Si dice che il tempo dei
miracoli è passato, e vi sono presso di noi teste filosofiche che ci
rendono giornaliere e familiari le cose soprannaturali e
inesplicabili. Perciò riteniamo come sciocchezze le cose spaventose, e
ci trinceriamo dietro una scienza apparente, mentre dovremmo invece
sottometterci a un ignoto timore.»
(Tutto è bene quel che finisce
bene, Atto II, sc. 3)
La soluzione è più morigerata di
quella di Amleto, ma la soluzione conta molto meno dell’individuazione
del problema, che è lo stesso n ei due testi. - «Shakespeare non
conosceva la filosofia.» (J. Kott, Shakespeare nostro
contemporaneo, Milano 2006) è probabilmente una frase senza
senso. Chissà intanto cosa intenderà questa frase per filosofia.
Non sarà piuttosto anche Amleto
l’esemplare di «una nuova figura: un filosofo non premeditato e
fortuito!» (M. de Montaigne, Saggi, vol. II, Milano 1986)?
– E’ indiscutibile che un po’ di buona tecnica, il funambolo del
sillogismo, la sa. A parte il becchino, è sempre più svelto e acuto
lui a cavare le inferenze dei discorsi che gli si fanno, lasciando
socraticamente perplessi gli autori degli stessi: visto che non sapevi
neppure cosa in realtà tu dicevi? «La maggior parte degli
uomini sono ricchi di una scienza estranea…» (M. de Montaigne,
Saggi, vol. III, Milano 1986). Appunto. Spesso bara, ma mica
ha di fronte l’accademia di chissà che, pronta con la matita rossa
quando sgarra. E poi lo scandalo è lo scopo: fine che giustifica il
mezzo.
Ha un ventaglio che va dalla
sofistica più sadica – con le donne! - alla mistica a cui basta la
caduta d’un passero e un guscio di noce per saltare nell’infinito:
troppo per essere preso sul serio? Ma poi sul serio da chi? -
Crede molto più nel l’involontarietà del significante che nei
significati premeditati: quindi giochi di parole, echi parodistici,
derive verso il caos... «Metodo, Metodo, che mai mi chiedi? Tu ben sai
che ho morso il frutto dell’Incoscienza!» (J. Laforgue, Amleto,
ovvero Le conseguenze della pietà filiale). Ma è un pagliaccio
onesto, e ha le ossessioni giuste, come del resto il Re: come si può
essere certi di qualcosa? Che uno Spettro sia «onesto», che un fatto
sia la prova sicura di un altro… Poi, come tutti, sbaglia.
Però con lui, la filosofia «odiosa
e oscura» (C. Marlowe, Dottor Faustus, Atto I, sc. 1)
diventa alla bisogna allegra, e «beffarsi della filosofia è filosofare
davvero» (B. Pascal, Pensieri).
Glossa plumbea:
«queste tragedie costituiscono una
reazione e una risposta alla crisi del sapere scatenata dall’avvento
della nuova scienza tra la fine del Cinquecento e l’inizio del
Seicento, vale a dire una reazione e risposta al moderno scetticismo
che in filosofia verrà articolato meglio da Cartesio una generazione
dopo quella di Shakespeare.»
(S.
Cavell, Il ripudio del sapere. Lo scetticismo nelle tragedie di
Shakespeare, Torino 2004)
Si può leggere Shakespeare e poi
scrivere così male? Davvero è tutto qua il puzzle? (Del resto,
un libro il cui massimo humour è una cosaccia così: «se la filosofia
non interessa le donne, chi ci rimette, la filosofia o le donne?»…).
Il noioso Cavell dà ragione a certe
fisse di Cioran, ma Cioran ha torto: non è vero che un metafisico non
può «avere il senso del ridicolo molto sviluppato» (E. M. Cioran,
Quaderni. 1957-1972, Milano 2001). Questo lo dice
perfino Erasmo («O non vedete i visi tetri di coloro che si
dedicano allo studio della filosofia, o ad altre serie e ardue
occupazioni?» Elogio della follia, cap. XIV). Al
contrario! E tutto Amleto lo dimostra: sono i tizi con
scarso spirito filosofico che restano di sale e che, non capendo la
battuta, diventano ridicoli, cercando subito d’aggrapparsi, come se
fosse il bordo di un comò, a qualcosa di serio, di fisso e
inconfutabile!…
Se i
filosofi
son tristi non è colpa della filosofia. Se non c’è fashion nei dotti
non amletici, non è certo per la mancanza di un look tra dark e freak
(che tra l’altro in tempi aristocratici appariva certo scandaloso e
oggi è solo demagogico), ma soprattutto d’un’eleganza di tratto e di
voce che in un discolo come Amleto, con tutti i difettacci suoi, si
dà comunque! La grazia del Castiglione (siamo sempre lì) come
potrebbe non essere una grazia del pensiero? … Sempre Cioran ha
questo lampo: «L’essere ideale? Un angelo devastato dallo humour» (L’inconveniente
di essere nati). Quest’angelo decaduto da cielo in terra a
disastri mostrare sarà, al meglio del suo peggio, anche Amleto:
«Sull’orlo della tomba ancora fresca di Ofelia, il pubblico ride della
facondia dei becchini filosofeggianti.» (B. Pasternak,
Annotazioni alle tragedie shakespeariane, in Quintessenza,
Venezia 1990).
Grandezza socratica di Amleto che
sa stare al gioco dialettico dello scavafosse senza arroganza:
sorpreso e affascinato, farà da spalle a uno più loico di lui per
vedere fin dove si potrà arrivare.
Uno dei problemi di Amleto sarà
stato anche la carenza di maestri?