ORAZIO - Sarebbe
troppa fantasia, monsignore.
(Atto V, sc. 1)
AMLETO - Tu non
puoi immaginare che peso abbia qui tutt'attorno al cuore.
(Atto V, sc. 2)
«…possiamo riconoscere in noi
stessi due io distinti: l’io immaginario, con le sue tendenze e i suoi
desideri, e l’io reale. Esistono sadici e masochisti immaginari:
persone dall’immaginazione violenta. Ad ogni momento, il nostro io
immaginario si frantuma e svanisce al contatto con la realtà, cedendo
il posto all’io reale. Perché, per la loro stessa natura, il reale e
l’immaginario non possono coesistere. Si tratta di due tipi diversi di
oggetti: sentimenti e azioni completamente irriducibili le une alle
altre.
Potremmo quindi pensare di dover
classificare gli individui in due grandi categorie, a seconda della
loro preferenza per una vita immaginaria o per una vita reale. Ma
dobbiamo comprendere che cosa significhi una preferenza per
l’immaginario. Non si tratta affatto di preferire un tipo di oggetto a
u altro. Per esempio non si deve credere che lo schizofrenico, e in
generale il sognatore morboso, cerchi di sostituire al contenuto della
sua vita reale un altro contenuto irreale più attraente e brillante, e
cerchi di dimenticare il carattere irreale delle sue immagini reagendo
ad esse, come se fossero oggetti reali effettivamente presenti.
Preferire l’immaginario non è solo preferire alla mediocrità esistente
una bellezza, una ricchezza, uno splendore immaginario nonostante
la loro natura irreale, ma è anche adottare un modo «immaginario» di
sentire e di agire proprio in quanto questo modo è immaginario. Non si
tratta solo di scegliere questa o quella immagine, ma di scegliere lo
stato immaginario con tutto quello che ne consegue; non si tratta solo
di una fuga dal contenuto del reale (povertà, amore deluso, fallimenti
delle proprie imprese ecc.), ma dalla forma, dal carattere di
presenza del reale, dal tipo di risposte che esso esige da noi,
dall’adattamento delle nostre azioni all’oggetto, dall’inesauribilità
della percezione, dalla sua indipendenza, dal modo stesso che hanno di
svilupparsi i nostri sentimenti.»
(J. P. Sartre, L’Immaginario,
1940)