"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

24.  Essere, o: contrazioni forse necessarie

 


«Non sono Isabella, perchè io so tante belle cose e quella poverina è tanto ignorante! e poi Isabella è Isabella e io sono io. Povera me! in che imbroglio sono!»

(Lewis Carroll, Alice nel Paese delle meraviglie)

 

«Essere o non essere…»

(Amleto, Atto III, sc. 2)

 

«…la questione è esserlo in modo sicuro.»

(Macbeth, Atto III, sc. 1)

 

 

Essere o non essere?

«La domanda iniziale (…) apre quella dimensione metafisica alla quale i critici inglesi sono molto avversi»  (N. D’Agostino, Nota a W. Shakespeare, Amleto, Milano 2004). Magari To or not to be non vuol dire Essere o non essere.

 

Ma ammettiamo invece di sì. E’ poi così radicalmente autentica questa scelta? In una situazione di tragico impasse, davvero la voce più vera è quella che dice “o minestra o finestra”? Il barbaro Macbeth resta alla fine il più filosofico dei personaggi di Shakespeare: «Essere quello che sono è niente; la questione  è esserlo in modo sicuro» (Atto III, sc. 1).

 

Heidegger subodora, nei termini stessi della scelta, il trucco: «Ma la libertà è solo nella scelta di una possibilità, cioè nel sopportare di non-aver-scelto e non-poter-scegliere le altre.» (M. Heidegger, Essere e tempo, Torino 1955). «Più in alto della realtà si trova la possibilità», a sua volta però condizionata da altre micidiali realtà adiacenti (nel caso di Amleto, un paio di genitori ognuno a suo modo ingombranti e ossessivi). Nella realtà dunque si decade: «Appunto perché l’Esserci è essenzialmente la sua possibilità, questo ente può, nel suo essere, o “scegliersi”, conquistarsi, oppure perdersi e non conquistarsi affatto o conquistarsi solo “apparentemente”.» (Ibid.)

 

 

 

E allora: perdersi o trovarsi?

Il fatto che, tra le possibilità in campo, una sola si realizzi non vuol dire che sia lei la migliore: a meno che non la si pensi come Hegel, o come il cristiano che troverà sempre il modo di considerar «provvida« ogni «sventura» (A. Manzoni, Adelchi). Non è mai trionfante la permanenza nell’essere di alcuna cosa, la quale, se è umana,  sa della sua accidentalità, del suo essere sì ma per un casuale momento sperso tra gli infiniti altri: «Qualsiasi cosa che esiste potrebbe non essere. Nessuna negazione di fatto coinvolge una contraddizione. La non esistenza di un qualsiasi essere, senza eccezione, è un’idea altrettanto chiara di quella della sua esistenza.» (D. Hume, Ricerche sull’intelletto umano, Sez. XII).

 

Questa «idea chiara» è per Severino, ma anche per Amleto, la meno chiara di tutte, dal momento che è un pensiero che non trova contraddittorio credere che le cose «possano essere e non essere» pensando cioè che «l’essente (il non niente) sia niente!» (E. Severino, La filosofia futura, Milano 2006), anche se, proprio come dice Amleto, magari al momento «non importa». Prima però lo terrorizzava l’idea che la morte non fosse il sonno raccolto in un non essere uterino, buio e senza parti: Amleto teme che «il sogno» dell’Essere sgambetti il non-essere impedendo la quiete del nulla… teme che esista un rimosso del non-essere che possa oniricamente riemergere, se, nel non essere, ci si addormenta troppo…

Ecco insomma che Amleto-Shakespeare pensa di suo talmente bene il divenire, e vi si arrovella con tale puntiglio da saperne dire molto meglio di Hume! Per ora è questo che conta.

 

 

E conta che, alla fine della sua storia breve, Amleto ha fatto un passo avanti (o indietro?) rispetto all’irrisolvibile dubbio dell’essere o no, riconoscendo che, proprio perché si ignora – interessante! – non ciò che ci aspetta ma ciò che si lascia, e poiché nulla esclude neppure l’esistenza di un destino, si può lasciar essere sia l’essere che il non essere:

 

 

«Sfidiamo i presagi. C’è una speciale provvidenza nella caduta di un passero. Se è ora non è dopo; se non è dopo sarà ora; se non è ora dovrà pur succedere. Essere pronti è tutto. Poiché nessuno sa nulla di ciò che lascia, che importa lasciare prima del tempo? Come sia sia.» (Atto V, sc. 2).

 

 

Tanto più che «per lo più l’esserci finisce nell’incompiutezza o anche nello sfacelo e nella consunzione» (M. Heidegger, Essere e tempo, Torino 1955).

Questa con cui si conclude è una cosa che capita di pensarla un po’ tutti: pare che spesso, per un giovanotto troppo dotato, e troppo sensibile per un mondo fortebraccesco di polonii navigatissimi e ottusi amori impraticabili, Non essere sia la sola nicchia di salvezza, la sola piega buona nell’infinito velo di Maya. Anche nel Bhagavadgita il principe Arjuna è preso da sgomento e non sa se sia meglio vincere o essere vinti.  - C’è chi di queste cose soffre molto, chi non ne soffre affatto. - Certo la fantasia è un handicap; come un handicap è il cuore: perché «il cuore è grande, è la vita che è piccola»: finale di una lettera di Marina Cvetaeva, suicida.

 


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