Chi
non metterebbe le corna al proprio marito per farlo diventare un
monarca? Io ci rischierei il purgatorio.
(Otello, Atto IV, sc. 3)
… ma
s’a voi piace
cosa
ch’io possa, spiriti ben nati,
voi
dite…
(Dante, Purgatorio, Canto V, vv. 59-61)
«La
difficoltà vera che Amleto ha nei riguardi dello Spettro può essere
così formulata: se il purgatorio è un luogo di purificazione, perché
questo spirito ne giunge carico di volontà di vendetta? E perché dalla
descrizione dello Spettro questo purgatorio assomiglia tanto a un
inferno? Le credenziali del fantasma lasciano molto a desiderare pur
con tutte le testimonianze elisabettiane sulla reale esistenza di
fenomeni del genere e sebbene Amleto sia in uno stato pressoché
isterico quando definisce lo Spettro «vecchia talpa» o «l’amico giù in
cantina» (Atto I, sc. 5); resta comunque improbabile che
adotterebbe simili espressioni se fosse sicuro di avere identificato
suo padre nello spirito parlante.»
(N. Frye, Shakespeare, Torino 1990)
È il babbo lo Spirito della Storia?
Bisognerà proprio essere il suo unico figlio per conferirgli questo
valore… del resto, la psicoanalisi almeno questo ci dirà di buono:
queste proiezioni sono tutte alchimie del soggetto conferente,
e il lutto consiste proprio nel doversi riprendere quanto si
credeva ormai, per allucinazione amorosa, merito proprio dell’Altro,
in questo caso del Babbo mortalmente regale (e dunque, ahimè,
mortalmente reale!).
Dall’essere o non essere una
sequela di sotto-antinomie e para-deduzioni che portano al centro
della scoperta e quindi dell’orrore di Amleto: che il Non Essere
potrebbe non essere neppure lui! – Solo dopo questo, tutto
potrà solo precipitare.
Al posto del non-essere,
quietissimo nulla senza germi e malattie (agognato da Leopardi,
riconosciuto dal vecchio Svevo), un oltremodo probabilmente
agghiacciante: di questo finale infinito, la Storia degli uomini non
sarebbe che il trailer... – Con Amleto si è costretti a pensare che il
paradiso sia impossibile. Se perfino quel grand’uomo di papà (“mai se
ne vedrà uno simile”… atto I,….) l’ha mancato, per chi sarà mai?
Neppure Ofelia resiste alla prova del bene e del male…
E certo è una rimozione essenziale,
un buco che regge tutto il motore tragico dell’opera, quella di Amleto
che dimentica - se ci crede - che l’anima del padre dovrebbe essere
ormai salva, parcheggiata per quel battito di ciglia che sarà il tempo
necessario, “a digiunare tra le fiamme / finché non siano arsi e
purificati / i delitti”… - Con tutti i delitti che implica un regno,
il Re è scampato all’inferno: eppure siamo agli antipodi del
sollievo d’aver gabbato Satana di tutte le anime del
Purgatorio di Dante (”Spiriti ben nati”….). - Per Amleto
senior & junior la cosa scandalosamente non conta nulla;
scandalosamente, come per le anime dell’Inferno, conta solo la vita di
qua, le geometrie sempre incompiute dei suoi macelli!
Mai, dunque, incontrato un fantasma
meno trascendentale di Amleto padre; quando il figlio – a parte la
rimozione di cui s’è appena detto - proprio non riesce a non esserlo…
Parole che chiariscono in
Benjamin quando scrive: «Non esiste alcuna escatologia barocca, ma
un meccanismo che accumula ed esalta i frutti della terra prima di
consegnarli alla morte. L’aldilà è svuotato di tutto ciò in cui spira
il benché minimo alito di mondo, e ad esso il Barocco strappa una
quantità di cose che prima si sottraevano a ogni raffigurazione [Gestaltung]
per portarle alla luce, al suo culmine, con drastica violenza: resta
così sgombro un ultimo cielo, un puro vuoto che potrà annientare
dentro di sé, con catastrofica violenza, la terra.» (W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Torino 1999).
*°*
Una lunga contestualizzazione del
Purgatorio nel dibattito cinquecentesco tra cattolici e protestanti
in: Stephen GreenBlatt, Hamlet in Purgatory, 2001; in
particolare GreenBlatt analizza Thomas More, The Supplication of
Souls 1528 e Simon Fish, A Supplication for the Beggars,
1529.