"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

2.  Il Purgatorio e le inesistenze del nulla

 


  

Chi non metterebbe le corna al proprio marito per farlo diventare un monarca? Io ci rischierei il purgatorio.

(Otello, Atto IV, sc. 3)

 

… ma s’a voi piace

cosa ch’io possa, spiriti ben nati,

voi dite…

(Dante, Purgatorio, Canto V, vv. 59-61)

 

 

 «La difficoltà vera che Amleto ha nei riguardi dello Spettro può essere così formulata: se il purgatorio è un luogo di purificazione, perché questo spirito ne giunge carico di volontà di vendetta? E perché dalla descrizione dello Spettro questo purgatorio assomiglia tanto a un inferno? Le credenziali del fantasma lasciano molto a desiderare pur con tutte le testimonianze elisabettiane sulla reale esistenza di fenomeni del genere e sebbene Amleto sia in uno stato pressoché isterico quando definisce lo Spettro «vecchia talpa» o «l’amico giù in cantina» (Atto I, sc. 5); resta comunque improbabile che adotterebbe simili espressioni se fosse sicuro di avere identificato suo padre nello spirito parlante.»

(N. Frye, Shakespeare, Torino 1990)

 

È il babbo lo Spirito della Storia? Bisognerà proprio essere il suo unico figlio per conferirgli questo valore… del resto, la psicoanalisi almeno questo ci dirà di buono: queste proiezioni sono tutte alchimie del soggetto conferente, e il lutto consiste proprio nel doversi riprendere quanto si credeva ormai, per allucinazione amorosa, merito proprio dell’Altro, in questo caso del Babbo mortalmente regale (e dunque, ahimè, mortalmente reale!).

 

Dall’essere o non essere una sequela di sotto-antinomie e para-deduzioni che portano al centro della scoperta e quindi dell’orrore di Amleto: che il Non Essere potrebbe non essere neppure lui! – Solo dopo questo, tutto potrà solo precipitare.

 

 

Al posto del non-essere, quietissimo nulla senza germi e malattie (agognato da Leopardi, riconosciuto dal vecchio Svevo), un oltremodo probabilmente agghiacciante: di questo finale infinito, la Storia degli uomini non sarebbe che il trailer... – Con Amleto si è costretti a pensare che il paradiso sia impossibile. Se perfino quel grand’uomo di papà (“mai se ne vedrà uno simile”… atto I,….) l’ha mancato, per chi sarà mai? Neppure Ofelia resiste alla prova del bene e del male…

 

E certo è una rimozione essenziale, un buco che regge tutto il motore tragico dell’opera, quella di Amleto che dimentica - se ci crede - che l’anima del padre dovrebbe essere ormai salva, parcheggiata per quel battito di ciglia che sarà il tempo necessario, “a digiunare tra le fiamme / finché non siano arsi e purificati / i delitti”… - Con tutti i delitti che implica un regno, il Re è scampato all’inferno: eppure siamo agli antipodi del sollievo d’aver gabbato Satana di tutte le anime del Purgatorio di Dante (”Spiriti ben nati”….). - Per Amleto senior & junior la cosa scandalosamente non conta nulla; scandalosamente, come per le anime dell’Inferno, conta solo la vita di qua, le geometrie sempre incompiute dei suoi macelli!

Mai, dunque, incontrato un fantasma meno trascendentale di Amleto padre; quando il figlio – a parte la rimozione di cui s’è appena detto - proprio non riesce a non esserlo…

 

Parole che chiariscono in Benjamin quando scrive: «Non esiste alcuna escatologia barocca, ma un meccanismo che accumula ed esalta i frutti della terra prima di consegnarli alla morte. L’aldilà è svuotato di tutto ciò in cui spira il benché minimo alito di mondo, e ad esso il Barocco strappa una quantità di cose che prima si sottraevano a ogni raffigurazione [Gestaltung] per portarle alla luce, al suo culmine, con drastica violenza: resta così sgombro un ultimo cielo, un puro vuoto che potrà annientare dentro di sé, con catastrofica violenza, la terra.» (W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Torino 1999).

 

*°*

 

Una lunga contestualizzazione del Purgatorio nel dibattito cinquecentesco tra cattolici e protestanti in: Stephen GreenBlatt, Hamlet in Purgatory, 2001; in particolare GreenBlatt analizza Thomas More, The Supplication of Souls 1528 e Simon Fish, A Supplication for the Beggars, 1529.

 


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