"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

18.  Lutti e letti

 


 

GERTRUDE - …Non cercar sempre con le tue palpebre abbassate il tuo nobile padre nella polvere; tu sai che è cosa comune, tutto ciò che vive deve morire, passando all’eternità attraverso la natura.

AMLETO - Sì, signora, è cosa comune

GERTRUDE - Se è tale, perché sembra essa così particolare a te?

AMLETO - Sembra, signora! anzi, è; io non conosco «sembra»…”  (Atto I, sc. 2)

 

 

Paese che vai usanze che trovi: nella Verona di Romeo e Giulietta, la coincidenza di un funerale (Paride, cugino del promesso sposo di Giulietta appena ucciso da Romeo!) e un matrimonio non fa scandalo purché si osservi una certa misura: «Capuleti - Non faremo gran festa: un amico o due, perché vedete, essendo così poco tempo che Tebaldo è stato ucciso si potrebbe pensare che c’importasse poco di lui…» (Atto III, sc. 4). C’entrerà il genius loci che, tanto per cambiare, farebbe fare agli italiani la consueta figura di solari praticoni? In verità, a parte Amleto, pare che tutta la Danimarca brindi le nuove nozze di Gertrude.

 

Tutta compresa nella parte di buona cristiana, l’intangibile mamma regina («così piena di virtù apparente», Atto I, sc. 5) vede nella morte la quisquiglia infinitesimale del trapasso: «all’eternità attraverso la natura». E’ chiaro che codesto atteggiamento minimalista sottintenda un mondo: se morire è l’essenziale, la «procedura», come Kafka la chiamerà, del passaggio all’eterno (omicidio, malanno, incidente…) è un niente. Avendola lì pronta da sempre, per la mamma, vedova regina, sposa novella, la formula cristiana è perfetta per scivolare rapidamente a dire che morire non solo è inevitabile, ma necessario e buono. – Ma Amleto soffre come un ateo.

 

E’ il suo difetto, e infatti su questo il patrigno di fresca nomina lo incalza e infilza al volo: il dolore amletico, proprio perché immisurabile («io ho tal cosa in me che passa ogni mostra»), è hybris, e cioè bestemmia:  «il perseverare in un’ostinata doglianza è un procedere d’empia caparbietà; è un non virile affanno; mostra una volontà molto ribelle al cielo»! Concetto che il neo Re, signore con una sua politica scaltrezza, sa inconfutabile, e col quale insiste come si fa nel varco aperto nel cuore del nemico. Così di nuovo: la «petulante opposizione» di Amleto all’esaurimento del lutto, «ohibò! è una colpa verso  il cielo…».

 

 

 

Tanto più notevole che questo punto della lunga e già irrefutabile battuta, Claudio inizi un forse non caotico climax, il quale in un modo sorprendente e degno davvero di un Kafka kantiano per circoli di concentrica intensità stringe giù giù dal cielo alla ragione: «…una colpa verso il cielo, una colpa contro i morti, una colpa verso la natura, quanto mai assurda verso la ragione, il cui tema usuale è la morte dei padri, e che sempre ha gridato dal primo cadavere fino a colui che è morto oggi: Così dev’essere.» (Atto I, sc. 2).

E, dunque, proprio Claudio affronta Amleto sul piano essenziale del sembrare e dell’essere: del sembrare che è ciò che deve essere…


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