GERTRUDE - …Non cercar sempre con le tue palpebre abbassate il tuo
nobile padre nella polvere; tu sai che è cosa comune, tutto ciò che
vive deve morire, passando all’eternità attraverso la natura.
AMLETO - Sì, signora, è cosa comune
GERTRUDE - Se è tale, perché sembra essa così particolare a te?
AMLETO - Sembra,
signora! anzi, è; io non conosco «sembra»…” (Atto I, sc. 2)
Paese che vai usanze che trovi:
nella Verona di Romeo e Giulietta, la coincidenza di un
funerale (Paride, cugino del promesso sposo di Giulietta appena ucciso
da Romeo!) e un matrimonio non fa scandalo purché si osservi una certa
misura: «Capuleti - Non faremo gran festa: un amico o due, perché
vedete, essendo così poco tempo che Tebaldo è stato ucciso si potrebbe
pensare che c’importasse poco di lui…» (Atto III, sc. 4).
C’entrerà il genius loci che, tanto per cambiare, farebbe fare
agli italiani la consueta figura di solari praticoni? In verità, a
parte Amleto, pare che tutta la Danimarca brindi le nuove nozze di
Gertrude.
Tutta compresa nella parte di buona
cristiana, l’intangibile mamma regina («così piena di virtù
apparente», Atto I, sc. 5) vede nella morte la quisquiglia
infinitesimale del trapasso: «all’eternità attraverso la natura». E’
chiaro che codesto atteggiamento minimalista sottintenda un mondo: se
morire è l’essenziale, la «procedura», come Kafka la chiamerà,
del passaggio all’eterno (omicidio, malanno, incidente…) è un niente.
Avendola lì pronta da sempre, per la mamma, vedova regina, sposa
novella, la formula cristiana è perfetta per scivolare rapidamente a
dire che morire non solo è inevitabile, ma necessario e buono. – Ma
Amleto soffre come un ateo.
E’ il suo difetto, e infatti su
questo il patrigno di fresca nomina lo incalza e infilza al volo: il
dolore amletico, proprio perché immisurabile («io ho tal cosa in me
che passa ogni mostra»), è hybris, e cioè bestemmia: «il perseverare
in un’ostinata doglianza è un procedere d’empia caparbietà; è un non
virile affanno; mostra una volontà molto ribelle al cielo»! Concetto
che il neo Re, signore con una sua politica scaltrezza, sa
inconfutabile, e col quale insiste come si fa nel varco aperto nel
cuore del nemico. Così di nuovo: la «petulante opposizione» di Amleto
all’esaurimento del lutto, «ohibò! è una colpa verso il cielo…».
Tanto più notevole che
questo punto della lunga e già irrefutabile battuta, Claudio inizi un
forse non caotico climax, il quale in un modo sorprendente e degno
davvero di un Kafka kantiano per circoli di concentrica intensità
stringe giù giù dal cielo alla ragione: «…una colpa verso il cielo,
una colpa contro i morti, una colpa verso la natura,
quanto mai assurda verso la ragione, il cui tema usuale è la
morte dei padri, e che sempre ha gridato dal primo cadavere fino a
colui che è morto oggi: Così dev’essere.» (Atto I, sc. 2).
E, dunque, proprio Claudio affronta
Amleto sul piano essenziale del sembrare e dell’essere: del sembrare
che è ciò che deve essere…