«Un buon padre non
esiste, è la norma.»
(J. P. Sartre,
Parole, 1964)
«Penso che sia
premio bastante essergli figlio»
(Enrico VI
Parte III, Atto II, sc. 1)
«Nessuno è padre a
un altro.»
(E. Morante,
Serata a Colono)
ERMIONE (al
padre) - La mia vita è alla mercè dei vostri sogni ed io ve
l’abbandono”
(Il racconto
d’inverno, III, 2)
Quando
esistevano, i genitori pretendevano dai figli idiozie tali da
risucchiarsi tutto. Disastrosi e protervi, mettevano al mondo bambini e
pretendevano eredi. Allo scopo, ne avvelenavano le vocazioni come vaghi
ma perniciosi tumori dell’adolescenza. Erano forti, erano stronzi. Tutto
del resto a fin di bene,
disinteressatamente, trovando la sua entelechia nella perfetta adesione
dei figli al programma paterno quando loro non sarebbero stati più al
mondo. Il meglio che avrebbero potuto fare sarebbe invece sarebbe stato
avere la forza di fingersi idioti e di non avere la forza di
impicciarsene. Però botte e punizioni quando facevano i maleducati erano
giuste.
Il fatto che il
DNA conti così poco spiega i disastri dell’incomunicabilità morale sia
in un senso che nell’altro. Tutti i casi sono ammessi; così, se è vero
che «malvagi figli furono già portati da grembi schietti» (La
tempesta,
Atto I, sc. 2),
e che ci si possa ritrovare senza colpa nell’«
odioso peccato è
il mio a vergognarmi di essere la figlia di mio padre!» (Il
mercante di Venezia,
Atto II, sc. 3),
accade anche che un padre arrivi a dire a una figlia senza troppi torti
che « Tu
sei una malattia della mia carne» (Re
Lear, Atto
II, sc. 3).
Non solo figli
giustamente devoti in Shakespeare. Anche l’enciclopedia dell’evidente
propensione degli uomini a generare senza vocazione c’è tutta: tenendo
fuori Amleto,
l’obbligo ai matrimoni convenuti, l’incesto, la paranoia che si sta
allevando una bastarda. Cosa siano stati i genitori di Romeo e Giulietta
lo dice subito il Prologo: babbi e mamme dall’«ira prolungata, alla
quale nulla potrà mettere fine, se non la morte dei figli» (Romeo
e Giulietta,
Prologo).
Nel
Pericle
si racconta del padre che della figlia «si innamorò e all’incesto la
provocò» (Pericle,
Principe di Tiro,
Atto I, sc. 1);
nel
Winter’s tale
Leonte, abbagliato dal pensiero che sua figlia sia di Polissene, non le
risparmia niente del suo odio: «questo sgorbio non è mio. (…) Devo
vivere per sentire questa bastarda inginocchiarsi e chiamarmi padre?»
(Il
racconto d’inverno,
Atto II, sc. 3).
Misteriosi i versi di Lear, padre di tre figlie, dove
dice: «Oh! Come questo mal di madre gonfia e mi sale al cuore! Hysterica
passio!» («O, how this mother swells up toward my heart! / Hysterica
passio...», Atto II, sc. 4): posto che mother non sia
una contrazione (di smother) o un refuso, ci si sorprende a
pensare che anche la paternità presupponga l’isteria d’una gravidanza.
Il che dice francamente solo Leopold Bloom nell’ Ulisse di
Joyce: «Oh. Vorrei tanto esser madre!».