«…in questi
tempi fanciulle non ve ne sono più: soltanto infermiere!”
(Jules Laforgue,
Amleto, ovvero Le conseguenze della pietà filiale)
«…e io ti
ammazzerò,
e ti amerò,
dopo.»
(Otello,
Atto V, sc. 2, 18-19)
«E io che credevo di conoscere la
Donna! La Donna e la Libertà! E la insudiciavo di sciocchezze a
priori! Pedantuzzo! Pedicure!» (J. Laforgue, Amleto, ovvero Le
conseguenze della pietà filiale).
Amleto è cattivo con le
donne, quindi è cattivo tout-court. Anche la poesiola famosa
che dedica a Ofelia e che legge Polonio («Dubita che di fuoco sian le
stelle…», Atto II, sc. 1), con quell’imperativo ripetuto, a
cose fatte e finite, suona noiosa come una lettera di Kleist
alla fidanzata. Ma, pare, siamo a teatro. E
Artaud direbbe che «senza
un elemento di crudeltà alla base di ogni spettacolo, non esiste
teatro. Nella fase di degenerazione in cui ci troviamo, solo
attraverso la pelle si potrà far rientrare la metafisica negli
spiriti» (A. Artaud, Il teatro e il suo doppio).
Certo è che Amleto è cattivo, sempre
più man mano che il proiettile dei fatti corre incontro al suo
schianto: non soltanto con le donne, e non soltanto secondo il
principio del chi la fa l’aspetti: quando capita, non dice di no a
tutta la dionisiaca dismisura della cattiveria.
Vergogna, riconosci di non amare nessuno,
tu che con te stesso sei così imprevidente!
Riconosco, se vuoi, che sei da molti amato,
ma che non ami nessuno è del tutto evidente;
perché
sei così posseduto da odio assassino
che non
esiti a cospirare contro te stesso...
(Sonetto 10, vv. 1-6)
Mentre Ofelia è, con tutta la
scemaggine che questo importa, innocente. Anche se la sua follia
pornolalica fa capire che avesse dentro ben altri demonietti, la
tragedia l’ha schiacciata a questa asfittica insostenibile innocenza.
Questa sensualità che sborda oscena alla fine toglie alibi a tutti gli
Amleti del mondo: «Ma io l’ho aiutata ad appassire, la Fatalità ha
fatto il resto» (J. Laforgue, Amleto, ovvero Le conseguenze
della pietà filiale): davvero ti piacerebbe che fosse stato
così semplice? Quanto ti piace, quanto la ami, adesso che è morta
e impossibile? «Amavo
Ofelia. Quarantamila fratelli con tutto il loro amore non potranno
toccare il mio totale» (Atto Quinto, sc. 1).
«L’oggetto del desiderio come impossibile è una caratteristica (…) del
desiderio dell’ossessivo. E’ tipico dell’ossessivo mettere l’accento
sull’incontro con tale impossibilità. In altre parole, egli fa sì che
l’oggetto del suo desiderio divenga il significante di questa
impossibilità. Noi, però, siamo attirati da qualcosa di ancora più
profondo.»
(J.
Lacan, Seminario VI, Il desiderio e la sua interpretazione,
1958-59, Roma 1989)
«L’oggetto Ofelia in quanto perduto riacquista infatti presenza e
valore per il soggetto Amleto dal momento che diviene oggetto di un
lutto presente, un lutto che può quindi costituire un’occasione per
riparare il danno rappresentato dal mancato lutto per la perdita
originaria, quella del padre reale.»
(R. Galiani, Amleto e l’Amleto nella cultura psicoanalitica,
Torino 1997).