«Forse la ragione per cui l’Amleto non piace [p.e. a Eliot] è
la stessa per cui piace a me: perché è un testo rabberciato,
sbrindellato, pieno di incongruità»
(L. Doninelli, Conversazioni con Testori, Parma 1993)
Su:
Ambleto
1972
«Ad Ambleto
l’esistenza si presenta costruita come una “piramida”: una
“piramida” che contraddice il senso stesso della nascita di ogni
uomo ove mai questa nascita dovesse avere un senso. Una “piramida”
di ingiustizie, di soprusi, di assassinii. Una “piramida” che si
erge purulenta e marcia, che si tiene in piedi sul concetto, dato
come fatale, del potere. La morte del padre è la scintilla che fa
scattare la rivolta di Amleto e che lo induce a distruggere, a
“spetasciare” tutta quanta la “piramida”. Come ogni distruttore
vero, innamorato della vita e non velleitario, arrivato a quel punto
Ambleto sa che deve entrare anche lui nello “spetasciamento”, e si
uccide»
(G. Testori,
Ambleto? “Una mazzata” in Il corriere della Sera, 9 gennaio 1973)
Ambl,
all’inizio, forse perché in italiano vien più facile da cantare di
Aml, e forse anche per non sentirsi nani troppo contigui
al gigante Shakespeare. Ambleto fu infatti già il
titolo di alcune settecentesche versioni musicali del dramma: tra
gli altri, Apostolo Zeno e Pietro Pariati (1705),
Francesco Gasparini (1711), Domenico Scarlatti (1715),
Giuseppe Carcani (1742). Tutti presto svaniti dalle scene.
Non sappiamo se scomparse anche le partiture.
Possibile che Testori sapesse di
questi antecedenti e di altri.
Ambleto
(1972) è con
Macbetto (1974) ed Edipus (1977) uno dei testi
della Trilogia degli Scarrozzoni (Ora lo leggi nelle
Opere 1965-1977, Milano 1977). Drammi animati da una
lingua infera tra Folengo e Gadda, tra dialetto e
latinus grossus, con rampollare di neologismi, arcaismi, forme
colte e grevi, ecc: del tutto dentro, quindi, l’alter-ego
espressionistico del canone occidentale di cui ripercorse
magistralmente il filum Gianfranco Contini (Espressionismo
letterario, in Ultimi esercizî ed elzeviri,
Torino1988):
Totus est negher. Negher e rododendoro e
porpora e mortadella marcita. El cielo rona. E a me, me pare de
vedere in dappertutto brindelli di carna e de sangue; carna e sangua
in della terra; carna e sangua in delle nìgore (…) in ‘sta latrina,
in ‘sto vespasiano d’una terra e d’un regname.
Quel totus mostra che il
marcio dalla Danimarca è tracimato nel mondo. Come nell’attuale
rancorosa e non metaforica disfatta dell’ecosistema, qui non si
salva niente e nessuno: se non le parodiche concrezioni della
babelica lingua. Chi è Ambleto? Forse pazzo perché caduto da bimbo
dalla «cadrega», «no inxolamente è un ‘narchico, ma come
zufficesse no, è vuno di quei ‘narchi che credono anca in del
Cristo!»: La battuta è di Arlungo, e cioè Claudio, condivisa fin
nelle viscere dalla mamma Gertruda, che infatti sempre ce l’ha con
«i extra, i ‘narchi, i sindacanti, i sobillanti». Il pensiero
unico, che subito fa riconoscere gli anni settanta, contro la genìa
dei sobillanti lo trovi anche in Laerto che, pensando all’amore di
Ambleto e Lofelia, esclama: «Mia sorella in mogliera a esso lui!
Impiuttosto la do in mogliera ai gatti! La do ai extra, ai ‘narchi e
ai zobillanti, inpiuttosto!», il che però molto coincide con la
succitata descrizione di Ambleto. Né, per il babbo Polonio, Lofelia
è meglio: «E direttissimamente spingiuta da lui [da
Ambleto], in così almanco oso penzare, è venuta indicontro a
me blasfemandomi essa pure. E cont ogni mezzo, fin tirando giù i
cristi e le madonne…».
Tutto, come in Shakespeare, non
per Ecuba ma per papà, qui però «Papà, rex, capo, dux, Benito»…
Già nel 1970, Testori aveva
scritto la sceneggiatura di un Amleto, ora pubblicata da Aragno (Giovanni
Testori - Amleto. Una storia per il cinema – Aragno, 2002); vi
fu infine il Post-Hamlet:
«Con il Post-Hamlet sale a
tre il numero delle rivisitazioni, degli imbastardimenti, degli
strozzamenti, certo, delle derelitte e parzialissime prove che il
qui scrivente ha tentato d’eseguire su e perfino contro (egli sa, lo
sa benissimo) il sublime esemplare. (…) Perché tanta dipendenza,
certo tanta impossibilità a staccarsi dall’enorme eminentissimo
personaggio? Esile e possente, centro scentrato della storia, sunto
della povera, cieca e demente umana vicenda, pare a me che Amleto
sia il personaggio più “aperto” a contenere in sé tutte le
interrogazioni, massimamente quelle che a nli appaiono allorché si
screpolano e cadono a terra, crisalide di vane cicale, le menzogne
degli accomodamenti; anche i più eroici» (G. Testori,
“Dall’Amleto della speranza al bosco della vita”,
Il corriere della
Sera, 9 aprile 1983).
Orazio
stringe a sé
il Prence
e piange:
è morto,
ecco
non soffre più…
Ma
Tu?
Rispondi:
Tu?
(G. Testori, Crux, Venezia 1986)