«Senti ancora,
la parola più profonda. Tutti gli oggetti visibili, vedi, sono
soltanto maschere di cartone, ma in ogni evento, nell’atto vivo,
nell’azione indubitata, qualcosa di sconosciuto, ma sempre
ragionevole, sporge le sue fattezze sotto la maschera bruta. E se
l’uomo vuol colpire, colpisca la maschera!»
(H. Melville,
Moby Dick)
«La mancanza di
volontà di Amleto c’è, ma è una mancanza di volontà illusoria, cioè,
in altre parole, in Amleto ci sono atti di volontà ma non sono tali
da mostrarsi all’esterno come azioni. Tuttavia, ogni atto dev’essere
indirizzato a qualcosa; se gli atti di Amleto non sono indirizzati
all’esterno, significa che sono indirizzati all’interno, cioè l’uno
verso l’altro. Ma un atto indirizzato all’interno può essere diretto
solamente contro un atto che gli si contrapponga, contro un atto
antagonistico per eliminare quest’ultimo, per neutralizzarlo; per
questo gli atti di volontà di Amleto devono essere indirizzati l’uno
contro l’altro, devono per così dire interferire tra loro e
paralizzarsi reciprocamente.
E’ chiaro che
simili atti, per quanto intensi siano, non possono essere atti
per altro da sé; ma in sé e per sé sono autentici atti di volontà.
Si potrebbero paragonare alle forze interne della meccanica; per
quanto possano essere intense, non possono cambiare minimamente il
movimento del centro di gravità del sistema. E veramente l’azione
dell’Amleto consiste in una lotta di atti; ma si
tratta di un’azione che non appare all’esterno, mentre quanto appare
all’esterno, i fenomeni, sono un movimento dovuto a forze esterne,
un’azione dovuta a cause esteriori, sono degli slanci involontari,
quasi inconsci dei personaggi.»
(…)
«…ognuna delle
coscienze di Amleto deve riferirsi a un principio assoluto e
percepirlo come tale (…) Tuttavia, il principio assoluto
viene percepito come tale dalla coscienza quando, e solo quando,
determina interamente la coscienza, così che non possa esserci un
contenuto parziale della coscienza in sé, preso isolatamente, ma
ogni contenuto si riferisca in modo specifico a quel principio
assoluto. Una coscienza che si trovi in simili condizioni, pervasa
da un principio assoluto che determina totalmente il contenuto della
coscienza in relazione al dovere, è una coscienza religiosa, giacché
essa relegit la persona, il soggetto della coscienza col
soggetto del principio assoluto, con dio.
Veniamo così
alla conclusione che in Amleto devono coesistere due coscienze che
si manifestano alternativamente, due maschere che a turno emergono
dal profondo dello spirito, e sono entrambe pervase di dio, almeno
nei momenti di estrema tensione: questo principio determina la
giustizia, le norme di entrambe le coscienze, indirizza la vita
dello spirito. Ne consegue che Amleto deve avere una doppia
coscienza religiosa, per Amleto ci devono essere due dei
incompatibili.»
(…)
«La tragicità
consiste nella lotta fra due giustizie: solo una simile lotta è
ineluttabile, intensa, e si palesa gradatamente nell’azione. La
tragicità consiste nell’incompatibilità tra una giustizia e un’altra
giustizia.
Dunque Amleto è
preda della lotta fra i due principi che dominano le viscere delle
sue coscienze. La lotta degli dei, questo è ciò che suscita nel
profondo dello spirito l’alternarsi delle coscienze religiose:
l’autentico contenuto dell’Amleto, la sua azione
interna, profonda è una teomachia. Le radici del tragico
passano attraverso la personalità di Amleto e vanno oltre, fino alla
sfera delle esperienze religiose, e questa circostanza – che forse
lo spettatore non percepisce precisamente, non riconosce
attivamente, non sperimenta concretamente -, questa circostanza, si
diceva, produce appunto quel terrore mistico che si prova quando si
contempla l’Amleto. Shakespeare strappa il velo a processi
talmente profondi nell’evoluzione dello spirito che noi stessi, che
li viviamo, li riconosciamo a stento, anzi talvolta cerchiamo
addirittura di non riconoscerli. Egli ci conduce nelle nere fessure
e nelle voragini insondabili della coscienza con parole quotidiane;
riapre le ferite appena rimarginate del caos…»
(P. A.
Florenskij, Amleto, Milano 2004)