"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 13, settembre 2007                                         

 

           n. 13 °*°  William Shakespeare: Spettro delle mie brame - fantasmi di Amleto °*° n. 13

 


 

 

92. P. A. Florenskij

 

 

Amleto come teomachia

 


 

«Senti ancora, la parola più profonda. Tutti gli oggetti visibili, vedi, sono soltanto maschere di cartone, ma in ogni evento, nell’atto vivo, nell’azione indubitata, qualcosa di sconosciuto, ma sempre ragionevole, sporge le sue fattezze sotto la maschera bruta. E se l’uomo vuol colpire, colpisca la maschera!»

(H. Melville, Moby Dick)

 

 

«La mancanza di volontà di Amleto c’è, ma è una mancanza di volontà illusoria, cioè, in altre parole, in Amleto ci sono atti di volontà ma non sono tali da mostrarsi all’esterno come azioni. Tuttavia, ogni atto dev’essere indirizzato a qualcosa; se gli atti di Amleto non sono indirizzati all’esterno, significa che sono indirizzati all’interno, cioè l’uno verso l’altro. Ma un atto indirizzato all’interno può essere diretto solamente contro un atto che gli si contrapponga, contro un atto antagonistico per eliminare quest’ultimo, per neutralizzarlo; per questo gli atti di volontà di Amleto devono essere indirizzati l’uno contro l’altro, devono per così dire interferire tra loro e paralizzarsi reciprocamente.

E’ chiaro che simili atti, per quanto intensi siano, non possono essere atti per altro da sé; ma in sé e per sé sono autentici atti di volontà. Si potrebbero paragonare alle forze interne della meccanica; per quanto possano essere intense, non possono cambiare minimamente il movimento del centro di gravità del sistema. E veramente l’azione dell’Amleto consiste in una lotta di atti; ma si tratta di un’azione che non appare all’esterno, mentre quanto appare all’esterno, i fenomeni, sono un movimento dovuto a forze esterne, un’azione dovuta a cause esteriori, sono degli slanci involontari, quasi inconsci dei personaggi.»

 

(…)

 

«…ognuna delle coscienze di Amleto deve riferirsi a un principio assoluto e percepirlo come tale (…) Tuttavia, il principio assoluto viene percepito come tale dalla coscienza quando, e solo quando, determina interamente la coscienza, così che non possa esserci un contenuto parziale della coscienza in sé, preso isolatamente, ma ogni contenuto si riferisca in modo specifico a quel principio assoluto. Una coscienza che si trovi in simili condizioni, pervasa da un principio assoluto che determina totalmente il contenuto della coscienza in relazione al dovere, è una coscienza religiosa, giacché essa relegit la persona, il soggetto della coscienza col soggetto del principio assoluto, con dio.

Veniamo così alla conclusione che in Amleto devono coesistere due coscienze che si manifestano alternativamente, due maschere che a turno emergono dal profondo dello spirito, e sono entrambe pervase di dio, almeno nei momenti di estrema tensione: questo principio determina la giustizia, le norme di entrambe le coscienze, indirizza la vita dello spirito. Ne consegue che Amleto deve avere una doppia coscienza religiosa, per Amleto ci devono essere due dei incompatibili.»

 

(…)

 

«La tragicità consiste nella lotta fra due giustizie: solo una simile lotta è ineluttabile, intensa, e si palesa gradatamente nell’azione. La tragicità consiste nell’incompatibilità tra una giustizia e un’altra giustizia.

Dunque Amleto è preda della lotta fra i due principi che dominano le viscere delle sue coscienze. La lotta degli dei, questo è ciò che suscita nel profondo dello spirito l’alternarsi delle coscienze religiose: l’autentico contenuto dell’Amleto, la sua azione interna, profonda è una teomachia. Le radici del tragico passano attraverso la personalità di Amleto e vanno oltre, fino alla sfera delle esperienze religiose, e questa circostanza – che forse lo spettatore non percepisce precisamente, non riconosce attivamente, non sperimenta concretamente -, questa circostanza, si diceva, produce appunto quel terrore mistico che si prova quando si contempla l’Amleto. Shakespeare strappa il velo a processi talmente profondi nell’evoluzione dello spirito che noi stessi, che li viviamo, li riconosciamo a stento, anzi talvolta cerchiamo addirittura di non riconoscerli. Egli ci conduce nelle nere fessure e nelle voragini insondabili della coscienza con parole quotidiane; riapre le ferite appena rimarginate del caos…»

 

(P. A. Florenskij, Amleto, Milano 2004)


 

 torna a  

 

torna su