La traduzione di Pasternak di
Amleto (1939, ma poi a lungo rielaborata) sta alla
Russia come quella di Schlegel alla Germania. Segna un punto di non
ritorno, e un grande evento letterario. Proposta a Pasternak dal
regista Vsèvolod Mejerchòl’d e da sua moglie, la celebre
attrice Zinaida Raich, impegna il poeta «come un’opera
drammatica originale in russo, perché, al di là dell’esattezza,
della corrispondenza con l’originale, è animato soprattutto da
quella libertà intenzionale senza cui non è possibile accostarsi ai
capolavori».(B. Pasternak, Traducendo Shakespeare, in
Quintessenze Venezia 1990):
«Una traduzione non costituisce un
gran merito, anche se è ben fatta. C’est pas grandchose
[sic]. Ma quale gioia e che salvezza per me è stato lavorarci! Del
resto non c’è bisogno di convincertene: sei stata tu che hai
scritto quelle cose sulla Bisbetica… Il piacere più
alto, non paragonabile a nessun altro per me, consiste nel leggere
ad alta voce e senza tagli almeno metà della tragedia. Per tre ore
di seguito mi sento un uomo nel più alto significato della parola,
un essere, cioè, non asservito e privato della parola, ma libero e
ardente; per tre ore soggiorno nelle sfere a me familiari per
nascita e per la prima metà della mia vita, e poi cado esausto per
il dispendio di energie, “ritorno alla realtà”.»
(B. Pasternak, Le barriere
dell’anima. Corrispondenza con Ol’ga Fréjdenberg, Milano, 1987)
Versione moderna, rapida, che
ispira spettacoli celeberrimi: il film di
Grigori Mihailovic Kozintsev
del 1964, lo spettacolo di
Jurij Ljubimov
alla Taganka di Mosca del 1971, accomunati da un tratto
dinamico e positivo di cui era già stato rimproverato Pasternak:
«…hanno trovato Amleto
troppo attivo e ottimista, senza più nulla di tragico. Ma è proprio
questo lo spirito della traduzione! Poveri interpreti!» (Ibid.).
Questo Amleto deciso nel destino
lo riconosci anche nella poesia che gli dedica il Dottor
Zivago (1957) e che leggi con le altre alla fine del
romanzo:
S’è spento il
brusio. Sono entrato in scena.
Poggiato allo
stipite della porta
vado cogliendo
nell’eco lontana
quanto la vita
mi riserva.
Un’oscurità
notturna mi punta contro
mille binocoli
allineati.
Se solo è
possibile, abba padre,
allontana questo calice da me.
Amo il tuo ostinato disegno,
e reciterò, d’accordo, questa parte.
Ma ora si sta dando un altro dramma
e per questa volta almeno dispensami.
Ma l’ordine
degli atti è già fissato,
e irrimediabile
è il viaggio, sino in fondo.
Sono solo,
tutto affonda nel fariseismo.
Vivere una vita
non è attraversare un campo.
(trad. di M. Socrate, Milano 2002)