1939: Laurence 
            Olivier nel castello di Elsinore
            
             
            
            Nel 1939 la 
            compagnia dell’Old Vic è in Danimarca per rappresentare 
            Hamlet proprio nel cortile del castello di Elsinore. 
            Il castello è un bell’edificio secentesco, dunque filologicamentre 
            impossibile ma suggestivo. Essendo la Svezia a un braccio di mare, 
            si capisce però quanto possa incombere la Norvegia di Fortebraccio 
            mentre si svolge tutta la centripeta tragedia familiare degli Amleti 
            e dei loro annessi. 
             
            
            Lo spettacolo, che 
            aveva debuttato a Londra l’anno precedente ha la regia di Alec 
            Guinness, il quale non rinuncia a un richiamo all’attualità: 
            l’azione è infatti spostata in una corte edoardiana, minacciata da 
            una moderna potenza militare. Amleto è Laurence Olivier. Per 
            preparare lo spettacolo Tyrone Guthrie, che dirige la 
            compagnia dell’Old Vic, ha mandato Olivier a parlare con Ernst 
            Jones, allievo e biografo di Freud: chissà se il colloquio fece 
            risuonare qualche corda nella psiche dell’attore, che a nove anni 
            aveva subito violenza. 
             
            
            Tutto è pronto, ma 
            mezz’ora prima dello spettacolo inizia a piovere a catinelle. 
            Impossibile recitare nel cortile. E’ del resto una serata di gala e 
            sono state invitate numerose autorità: pur di non annullarlo, si 
            trasferisce lo spettacolo nella sala da ballo di un albergo vicino. 
            Viene dunque improvvisato tutto, e dovevano esserci gli dèi quella 
            sera di pioggia, perché fu una serata indimenticabile per gli attori 
            come per il pubblico. 
            
            Un genio per caso 
            non fa primavera. Guthrie si rese conto che il successo non fu solo 
            dovuto al pathos per le avversità sconfitte, ma al non aver 
            recitato in una sala all’italiana, con la netta separazione tra gli 
            attori e il pubblico e il boccascena a rinchiudere in una cornice 
            illusionistica il quadro scenico. Il caso inopinato di un temporale 
            gli fece sperimentare la superiorità dello spazio elisabettiano come 
            il migliore degli spazi per Shakespeare. Tentativi in questo senso 
            erano già stati fatti ai tempi della Shakespeare Renaissance 
            di fine Ottocento e almeno i primi compromessi (un teatro 
            elisabettiano dentro un palco all’italiana) erano stati 
            realizzati nei teatri tedeschi: ma senza la magia della sera a 
            Elsinore.
             
            
             
            
            Dopo quell’Amleto, 
            Guthrie, con la scenografa Tanya Moiseiewitsch, inizia degli 
            allestimenti che trovano la piena realizzazione nel nuovo festival 
            shakespeariano a Stratford, non quella di Shakespeare ma in
            Ontario, a partire dal 1953. Qui ricostruisce un vero 
            palcoscenico elisabettiano. All’interno di un tendone viene eretta 
            una struttura di legno che riprende il celebre disegno di de Witt. 
            Il pubblico è sistemato circolarmente intorno a una scena nuda e 
            aperta, simile a quelle progettate dagli sperimentatori d’inizio 
            secolo (Appia a Hellerau, Reinhardt alla Grosses 
            Schaspielhaus, Copeau al Vieux Colombier):  attori e 
            pubblico sono ora una sola unità.