«Un’opera
significativa o fonda il genere oppure lo liquida; nelle opere
perfette le due cose si fondono.»
(W. BENJAMIN,
Premessa gnoseologica a Il dramma barocco tedesco,
Torino 1999)
«Almeno una volta l’epoca riuscì a evocare la figura umana
corrispondente a quella doppia luce neo-antica e medievale in cui il
barocco vide il melanconico. Ma ciò non riuscì in Germania. Si
tratta dell’Amleto. Il mistero del suo personaggio è
racchiuso nel suo passare giocoso, ma perciò adeguato, attraverso
tutte le stazioni di questo spazio intenzionale, così come il
mistero del suo destino è racchiuso in un accadere ce è del tutto
omogeneo al suo sguardo. Soltanto Amleto è, per il dramma
barocco, spettatore per grazia divina; non però la recita, ma solo e
unicamente il suo destino, può soddisfarlo. La sua vita, come
oggetto offerto esemplarmente al suo lutto, rimanda, prima di
estinguersi, alla Provvidenza cristiana, nel cui grembo le sue
tristi immagini si trasformano in esistenza beata. Soltanto una vita
di questo genere, principesca, la melanconia, incontrando se stessa,
si risolve. Il resto è silenzio. Perché tutto ciò che non è stato
vissuto è destinato alla rovina, in questo spazio in cui la parola
della saggezza aleggia solo ingannevolmente. Soltanto Shakespeare
riuscì a fare scoccare la scintilla cristiana dalla rigidezza
barocca, non stoica e non cristiana, pseudoantica e pseudopietista,
del melanconico.»
(W. Benjamin, Premessa gnoseologica a Il dramma
barocco tedesco, Torino 1999)