Non fu neppure la
prima.
Giacinta Pezzana
aveva già avuto successo facendo Amleto in America nel 1878.
Sarah Bernhardt,
già Ofelia e già maschio in
Lorenzaccio e L’Aiglon, debuttò da Amleto a
cinquantacinque anni e tenne il ruolo fino alla morte a ottant’anni.
«Immaginava uno
scolaro venticinquenne, non ‘un triste professore di Wittenberg’,
l’elsa della spada in una mano e un libro nell’altra; era per lei un
uomo che decideva di compiere il suo dovere, vendicando l’assassinio
del padre; non era folle ma singolarmente sensato e lucido, tanto
che sapeva mascherare il suo pensiero per raggiungere lo scopo.
Univa i tratti virili della tenacia, della forza e della lucidità
con l’apparenza debole, femminile. Così il suo Amleto, pur
semplificato nell’identità intellettuale a vantaggio di quella
emotiva, restava una presenza complessa: ‘uno spirito pratico e un
povero essere che temeva, alla fine del dramma, di essere
assassinato’; un eroe incline agli scatti di nervi, più violento che
debole, umanizzato dalla giovinezza e dalla semplicità (sicché
questo gioco di contrasti avvalorava il suo travestimento).
L’attrice, inoltre, accentuava sia l’elemento d’intrigo sia la
presenza della commedia nella tragedia.»
(Laura Mariani,
Sarah Bernhardt, Colette e l’arte del travestimento, Bologna
1996)