«Sono l’Amleto di Mosca. Sì. A
Mosca giro per le case, per i teatri, i ristoranti e le redazioni e
dappertutto dico la stessa cosa:
«Oh Dio che noia! Che noia
opprimente!»
E mi rispondono con comprensione:
«Sì, in effetti c’è una noia
orrenda.»
Così di giorno e di sera. Di
notte invece, quando, tornato a casa, vado a letto nelle tenebre mi
domando com’è che mi annoio davvero in maniera così tormentosa, un
peso mi si rivolta inquieto in petto, e mi viene in mente che una
settimana fa a casa di qualcuno, quando ho chiesto cosa potessi fare
per la noia, un signore sconosciuto, evidentemente non moscovita,
d’un tratto s’è girato verso di me e mi ha detto stizzito:
«Mah, prendete un pezzo di cavo
di telefono e impiccatevi al primo palo del telegrafo che vi capita!
Non vi resta altro da fare!»
Sì. E di notte ogni volta mi
sembra di cominciare a capire perché mi annoio tanto. Ma perché?
Perché? Mi sembra che sia per…»
(A. Cecov, incipit di «A
Mosca», in Racconti, intr. di I. Sibaldi e postfaz. di B.
Osimo, Mondadori 1996)