"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12, settembre 2007                                         


 

 n. 12 °*° William Shakespeare: Spettro delle mie brame - fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 


 

 

27. I Greci

 

 

 

 


Greci crudeli

(senza Aristotele)

 

 

AMLETO - Nelle intimità della Fortuna? Che infatti è una puttana.

(Atto II, sc. 2)

 

 

«Io credo che la tragedia greca, se accostata e intesa liberandosi da un chiuso approccio razionalistico, abbia molta più affinità con quella shakespeariana di quanta non le concedano i rispettivi modelli di lettura tradizionali. Negli ultimi decenni alcuni studiosi inglesi di Shakespeare, i quali finalmente cominciano a liberarsi da ipoteche razionalistiche e moralistiche, hanno fatto ottimi studi della tessitura ironica del linguaggio delle tragedie sorprendentemente analogo a quello dei Greci, dell’ambiguità inesauribile dei caratteri, dell’inesistenza di un superamento finale del momento tragico, e della natura conflittuale, aporetica, inconclusiva, antidogmatica del messaggio ultimo delle opere. Ciò porterebbe all’individuazione dell’unità dell’immaginazione tragica occidentale, se quei critici disponessero di una base teorica e storica per organizzare le loro sparse intuizioni. Mia profonda convinzione è che Shakespeare, assai più classico degli imitatori neoclassici di superficie, abbia fatto rinascere in forme legate per struttura profonda alle antiche la visione crudele dei tragici greci. Il suo genio possiede l’originalità di cui parlava Gaudì, essere capaci di tornare alle origini e porsi in tal modo come nuova origine. Riscopritore di verità dimenticate, egli fa rivivere nei modi del suo tempo la forza degli archetipi con la loro capacità di parlare alle epoche future. Reinventa il pensiero libero della tragedia e investe di una luce tragica il mondo moderno che per un tratto se ne illumina, prima di essere nuovamente velato dall’Illuminismo.»

 

(N. D’Agostino, Shakespeare e i greci, Roma 1994)


 

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