"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12, settembre 2007                                         


 

 n. 12 °*° William Shakespeare: Spettro delle mie brame - fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 


 

 

25. Stalin

 

 

 


AMLETO -  …Perché ogni eccesso in questo è lontano dallo scopo del teatro, il cui fine, agli inizi come ora, è stato sempre ed è di porgere, diciamo, uno specchio alla natura; di mostrare alla virtù il suo volto, al vizio la sua immagine, e all'epoca stessa, alla sostanza del tempo, la loro forma e impronta.

(Atto III, sc. 2)

 RUSSIA

Popolarissimo in Russia Gamlet (così si chiama Amleto)! E piena di Amleti più o meno sotto mentite spoglie è la letteratura russa: al punto che durante la Seconda guerra mondiale Stalin ne vieta la rappresentazione. Amleto appariva ideologicamente irriciclabile: troppi dubbî, troppa metafisica, troppo nichilismo.

Si tornerà a chiedersi essere o non essere solo dopo la morte del dittatore, nel 1954: regia  di Nikolaj Okhlopkov, l’erede di Meierchol’d (scomparso pochi anni prima in una delle purghe). Lo spettacolo che va in scena al Teatro Meierchol’d di Mosca, ed è concepito come specchio (Amleto, Atto II, sc….) per leggere il passato tutt’altro che passato del paese. E’ un Amleto ribelle contro «il freddo abbraccio della prigione» danese che ha trovato in Claudio il suo tiranno. Ma niente è per sempre: anche se è destinato a morire, «oltre la sua morte, oltre la sua personale sconfitta, si intravede la vittoria storica dell’umanesimo».

Lo scenografo Vadim Ryndin disegna una grande porta di metallo, decorata con borchie e simboli araldici. Questo pesante sipario di ferro può scivolare verso i lati o aprirsi al centro, per mostrare le varie sezioni del palcoscenico su cui si svolge l’azione: una reggia vichinga ingombra di oggetti massicci (colonne, navi…). Nella scena della recita, questo portale-sipario si apre per mostrare i palchi su cui siedono gli spettatori. Il segno più forte dello spettacolo è dunque quel marchingegno dai movimenti macchinosi, che trasforma la reggia e l’intera «Danimarca» in una prigione: messaggio dunque inequivocabile.

POLONIA

«L’Amleto rappresentato a Cracovia alcune settimane dopo il XX Congresso del Partito Comunista dell’URSS, dura tre ore. Non un minuto di più. È aereo e trasparente, teso e crudele, moderno e coerente, ridotto ad un unico problema. È tutto, da cima a fondo, un dramma politico. ‘V’è qualcosa di putrido nello stato di Danimarca’. Questo è il primo accordo della nuova attualità dell’Amleto. E poi, ripetuto sordamente per tre volte: ‘La Danimarca è una prigione’. E infine la magnifica scena coi becchini, spogliata d’ogni metafisica, brutale e inequivocabile. I becchini sanno per chi stanno scavando le fosse. ‘Le fosse’, dicono, ‘son costruite più forte della chiesa’. La parola ripetuta più spesso sulla scena è ‘sorvegliare’. Qui sono sorvegliati tutti, senza eccezione, e in continuazione.»

(J. Kott, Shakespeare nostro contemporaneo)  

«Tre anni dopo, il personaggio sta già radicalmente cambiando di segno. «L’Amleto della messa in scena del tardo autunno 1956 non leggeva che i giornali. Gridava che ‘la Danimarca è una prigione’ e raddrizzava il mondo. Era un ideologo in rivolta, si consumava tutto nell’azione. L’Amleto del 1959 è già divorato dal dubbio. È ridiventato il ‘povero ragazzo triste, con un libro in mano’ [secondo la definizione del drammaturgo Wyspianski]. Non ci vuol nulla a immaginarcelo con un maglione nero e i blue jeans. Il libro che ha tra le mani non sarà più Montaigne, ma Sartre, Camus o Kafka. Ha fatto i suoi studi a Parigi, a Bruxelles o forse, come il vero Amleto, a Wittemberga. È rientrato in Polonia da tre o quattro anni. È divorato dal dubbio se si possa o no ridurre il mondo a poche semplici formule. Talvolta è oppresso da tristi pensieri sulla fondamentale assurdità dell’esistenza.» (Ibid.).


 

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