Riassunto con
Tarocchi
«(…) Invece, per il
giovane di prima Il Matto altro non è che la parte
ch’egli stesso s’è imposto, per meglio studiare un piano di vendetta
e nascondere l’animo sconvolto dalla rivelazione delle colpe della
madre Gertrude e dello zio. Se la sua è nevrosi, in ogni nevrosi c’è
del metodo e in ogni metodo, nevrosi. (Ben lo sappiamo noi
inchiodati a questo gioco di tarocchi). Era la storia dei rapporti
tra i giovani e i vecchi che ci veniva a raccontare, Amleto: più si
sente fragile di fronte all’autorità degli anziani, più la
giovinezza è spinta a farsi un’idea di sé estrema ed assoluta, e più
resta dominata dall’incombere dei fantasmi parentali. Non minore
turbamento provocano i giovani negli anziani: incombono come
fantasmi, s’aggirano a testa bassa, masticando rancori, riportando a
galla i rimorsi che gli anziani avevano seppellito, disprezzando ciò
che gli anziani credono aver di meglio: l’esperienza. Dunque faccia
il matto, Amleto, con le calze ciondoloni e un libro aperto sotto il
naso: le età di passaggio vanno soggette a disturbi della mente. Del
resto sua madre l’ha sorpreso (L’Amoroso!) a delirare
per Ofelia: la diagnosi è presto fatta, chiamiamola follia d’amore
così tutto si spiega. Chi ci andrà di mezzo caso mai sarà Ofelia,
povero angelo: l’Arcano che la contrassegna è La Temperanza
e già prevede la sua fine acquatica.
Ecco Il Bagatto
annuncia che una compagnia di saltimbanchi o attori girovaghi è
arrivata a dar spettacolo a corte: è un’occasione per mettere i rei
di fronte alle loro colpe. Il dramma rappresenta un’Imperatrice
adultera e assassina: vi si riconosce Gertrude? Claudio scappa
turbato. Da questo momento Amleto sa che lo zio lo spia da dietro le
tende: basterebbe un buon colpo di Spada contro un
drappeggio che si muove e il re cadrebbe stecchito. Un topo! Un
topo! Scommetto che lo stendo morto! Macché: là nascosto non c’era
il re ma (come rivela la carta detta L’Eremita) il
vecchio Polonio, inchiodato per sempre nell’atto di origliare,
povero spione che poca luce seppe fare. Nessun colpo ti riesce,
Amleto: non hai placato l’ombra di tuo padre e hai reso orfana la
fanciulla che amavi. Alle astratte speculazioni della mente ti
destinava il tuo carattere: non per nulla il Fante di Denari
ti ritrae assorto nella contemplazione di un disegno circolare:
forse il mandala, diagramma di un’armonia
ultraterrena.
(…)
L’odore del sangue non va via;
per detergere quelle piccole mani [di lady Macbeth] non
bastano tutti i profumi dell’Arabia.
A una tale interpretazione
s’oppone Amleto che nel suo racconto è arrivato al punto in cui
(l’Arcano Il Mondo) Ofelia esce di senno, cinguetta
nonsensi e filastrocche vaga per i prati cinta di ghirlande –
ranuncoli, ortiche, margheritine, e quei fiori dalla forma allungata
cui i pastori sboccati dànno un nome grossolano ma che le nostre
pudiche fanciulle chiamano membro del defunto – e per continuare la
storia ha bisogno proprio di quella carta, dell’Arcano Numero
Diciassette, in cui si vede Ofelia sulla riva del ruscello, protesa
sulla corrente vitrea e mucillaginosa che tra un istante l’affogherà
tingendo di verde muffa i suoi capelli.
Nascosto tra l e tombe del
cimitero, Amleto pensa alla Morte sollevando il
teschio smascellato di Yorick il buffone. (E’ questo, allora,
l’oggetto tondeggiante che il Fante di Denari regge in
mano!) Dove Il Matto di professione è morto, la follia
di distruzione che trovava in lui sfogo e specchio secondo codici
rituali, si mescola al linguaggio e agli atti dei prìncipi e dei
sudditi, indifesi anche verso se stessi. Amleto già sa che per tutto
dove mette mano accumula malestri: credono che lui non sia capace
d’uccidere? Ma se è la sola cosa che gli riesce! Il guaio è che
colpisce sempre bersagli spagliati: quando si ammazza, si ammazza
sempre qualcun altro.
Due Spade
s’incrociano in un duello: sembrano uguali ma una è aguzza e l’altra
ottusa, l’una è avvelenata e l’altra asettica. Comunque vada sono
sempre i giovani a scannarsi per primi, Laerte e Amleto che una
miglior sorte avrebbe visto cognati e non vittima e carnefice a
vicenda. Nella Coppa re Claudio ha gettato una perla
che è una pastiglia di veleno per il nipote: no, Gertrude, non
bere! Ma la regina ha sete: troppo tardi! Troppo tardi la spada
d’Amleto trafigge il re, sta già finendo il quinto atto.
Per tutt’e tre le tragedie [Re
Lear, Macbeth, Amleto] l’avanzare del Carro
di guerra d’un re vincitore segna il calare del sipario.
Fortebraccio di Norvegia sbarca sulla pallida isola del Baltico, la
reggia è silenziosa, il condottiero entra tra i marmi: ma è un
obitorio! ecco stecchita tutta quanta la famiglia reale di
Danimarca. O Morte altera e snob! Per invitarli a
quale festa di gala nelle tue spelonche senza uscita hai fatto fuori
tanti altolocati personaggi in un colpo solo, sfogliando l’almanacco
di Gotha con la tu falce-tagliacarte?»
(I.
Calvino, Il castello dei destini incrociati, Milano 1994)