"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12, settembre 2007                                         


 

 n. 12 °*° William Shakespeare: Spettro delle mie brame - fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 


 

 

20. Italo Calvino

 

 

 

 


Riassunto con Tarocchi

 

«(…) Invece, per il giovane di prima Il Matto altro non è che la parte ch’egli stesso s’è imposto, per meglio studiare un piano di vendetta e nascondere l’animo sconvolto dalla rivelazione delle colpe della madre Gertrude e dello zio. Se la sua è nevrosi, in ogni nevrosi c’è del metodo e in ogni metodo, nevrosi. (Ben lo sappiamo noi inchiodati a questo gioco di tarocchi). Era la storia dei rapporti tra i giovani e i vecchi che ci veniva a raccontare, Amleto: più si sente fragile di fronte all’autorità degli anziani, più la giovinezza è spinta a farsi un’idea di sé estrema ed assoluta, e più resta dominata dall’incombere dei fantasmi parentali. Non minore turbamento provocano i giovani negli anziani: incombono come fantasmi, s’aggirano a testa bassa, masticando rancori, riportando a galla i rimorsi che gli anziani avevano seppellito, disprezzando ciò che gli anziani credono aver di meglio: l’esperienza. Dunque faccia il matto, Amleto, con le calze ciondoloni e un libro aperto sotto il naso: le età di passaggio vanno soggette a disturbi della mente. Del resto sua madre l’ha sorpreso (L’Amoroso!) a delirare per Ofelia: la diagnosi è presto fatta, chiamiamola follia d’amore così tutto si spiega. Chi ci andrà di mezzo caso mai sarà Ofelia, povero angelo: l’Arcano che la contrassegna è La Temperanza e già prevede la sua fine acquatica.

Ecco Il Bagatto annuncia che una compagnia di saltimbanchi o attori girovaghi è arrivata a dar spettacolo a corte: è un’occasione per mettere i rei di fronte alle loro colpe. Il dramma rappresenta un’Imperatrice adultera e assassina: vi si riconosce Gertrude? Claudio scappa turbato. Da questo momento Amleto sa che lo zio lo spia da dietro le tende: basterebbe un buon colpo di Spada contro un drappeggio che si muove e il re cadrebbe stecchito. Un topo! Un topo! Scommetto che lo stendo morto! Macché: là nascosto non c’era il re ma (come rivela la carta detta L’Eremita) il vecchio Polonio, inchiodato per sempre nell’atto di origliare, povero spione che poca luce seppe fare. Nessun colpo ti riesce, Amleto: non hai placato l’ombra di tuo padre e hai reso orfana la fanciulla che amavi. Alle astratte  speculazioni della mente ti destinava il tuo carattere: non per nulla il Fante di Denari ti ritrae assorto nella contemplazione di un disegno circolare: forse il mandala, diagramma di un’armonia ultraterrena.

 

(…)

 

L’odore del sangue non va via; per detergere quelle piccole mani [di lady Macbeth] non bastano tutti i profumi dell’Arabia.

 

A una tale interpretazione s’oppone Amleto che nel suo racconto è arrivato al punto in cui (l’Arcano Il Mondo) Ofelia esce di senno,  cinguetta nonsensi e filastrocche vaga per i prati cinta di ghirlande – ranuncoli, ortiche, margheritine, e quei fiori dalla forma allungata cui i pastori sboccati dànno un nome grossolano ma che le nostre pudiche fanciulle chiamano membro del defunto – e per continuare la storia ha bisogno proprio di quella carta, dell’Arcano Numero Diciassette, in cui si vede Ofelia sulla riva del ruscello, protesa sulla corrente vitrea e mucillaginosa che tra un istante l’affogherà tingendo di verde muffa i suoi capelli.

 

Nascosto tra l e tombe del cimitero, Amleto pensa alla Morte sollevando il teschio smascellato di Yorick il buffone. (E’ questo, allora, l’oggetto tondeggiante che il Fante di Denari regge in mano!) Dove Il Matto di professione è morto, la follia di distruzione che trovava in lui sfogo e specchio secondo codici rituali, si mescola al linguaggio e agli atti dei prìncipi e dei sudditi, indifesi anche verso se stessi. Amleto già sa che per tutto dove mette mano accumula malestri: credono che lui non sia capace d’uccidere? Ma se è la sola cosa che gli riesce! Il guaio è che colpisce sempre bersagli spagliati: quando si ammazza, si ammazza sempre qualcun altro.

 

Due Spade s’incrociano in un duello: sembrano uguali ma una è aguzza e l’altra ottusa, l’una è avvelenata e l’altra asettica. Comunque vada sono sempre i giovani a scannarsi per primi, Laerte e Amleto che una miglior sorte avrebbe visto cognati e non vittima e carnefice a vicenda. Nella Coppa re Claudio ha gettato una perla che è una pastiglia di veleno  per il nipote: no, Gertrude, non bere! Ma la regina ha sete: troppo tardi! Troppo tardi la spada d’Amleto trafigge il re, sta già finendo il quinto atto.

 

Per tutt’e tre le tragedie [Re Lear, Macbeth, Amleto] l’avanzare del Carro di guerra d’un re vincitore segna il calare del sipario. Fortebraccio di Norvegia sbarca sulla pallida isola del Baltico, la reggia è silenziosa, il condottiero entra tra i marmi: ma è un obitorio! ecco stecchita tutta quanta la famiglia reale di Danimarca. O Morte altera e snob! Per invitarli a quale festa di gala nelle tue spelonche senza uscita hai fatto fuori tanti altolocati personaggi in un colpo solo, sfogliando l’almanacco di Gotha con la tu falce-tagliacarte?»

 

(I. Calvino, Il castello dei destini incrociati, Milano 1994)


 

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