1977:
Hamletmaschine di Heiner Müller
«Io ero Amleto.
Me ne stavo sulla costa e parlavo all’incendio BLABLA, con alle
spalle le rovine d’Europa. Le campane suonavano i funerali di
Stato». Sono le prime frasi di Hamletmaschine di
Heiner Müller: un testo denso, costruito per accumulo e
compressione di frammenti rubati a Shakespeare ma anche
all’autobiografia dell’autore. Il drammaturgo tedesco offre il suo
protagonista alle apocalissi del secolo XX: poesia, ideologia e
rivolta, domande sulla catastrofe che sembra inghiottire
l’umanità. E’ un grumo lirico, un accumulo di frammenti (presi da
Shakespeare, ma anche da altri autori, dalla storia recente e
dall’autobiografia dello stesso Müller). Compresso fino
all’ermetismo, a tratti indecifrabile nella sua densità di
richiami poetici e filosofici, è l’urlo di uno che si rivolta alla
macelleria della Storia. E’ anche una sfida ai registi, suggerendo
e negando al tempo stesso interpretazioni e associazioni.
Viscerale, rigidamente formalizzato, oltraggioso, disperato.
«Io non sono
Amleto. Non recito più alcuna parte. Le mie parole non dicono più
niente. I miei pensieri succhiano il sangue alle immagini. Il mio
dramma non ha più luogo.»