"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 

9.  Hegel e lontologia dello gnommero

 

 


 

AMLETO - Oh, è meraviglioso quando due marchingegni sbattono assieme il muso sulla stessa rotta.

(Atto III, sc. 4)

 

«Sosteneva, fra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo. Ma il termine giuridico «le causali, la causale» gli sfuggiva preferentemente di bocca: quasi contro sua voglia.»

(C. E. Gadda, Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana)

 

 

Insegna Hegel: nella tragedia classica il contrasto viene da fuori, mentre integro resta lo spirito dell’eroe che dunque sa cosa c’è da fare e su quello non ci piove. Con Amleto il contrasto precipita all’interno stesso della psiche sua, si fa introverso al punto che non c’è corno del dilemma che non sia già del personaggio stesso, il quale non potrà scegliere se non amputando se stesso di tutte le altre sue possibilità: Alessandro Magno – un plutarchiano mito per Amleto! - può secare gelido e blasfemo il nodo di Gordio perché in quel nodo non c’è lui. Amleto è – ed è per questo che sogna il non essere – tutto; e infatti non può non chiamare la sua stessa vita «essere». Essere! Ora, l’esistenza che scopre nella sua stessa banalità l’ontologia si fa gnommero gaddiano, un infinito inestricabile peggio del logos di Eraclito! Un  caos introflesso, tutto ripiegato nell’anima orrendamente senza à fine, perfino al di là della rete dei miliardi delle proprie carnose e mai stanche sinapsi!… Scoprire che vivere non può non voler dire “essere”, essere in ogni specifica leggera idiozia tutto – nulla più di esterno… pare davvero un ritorno tragico a Parmenide: se tutto è Essere, la freccia non potrà che fermarsi a mezz’aria, scoprendo di non essere stata mai in altro luogo che lì. Così, tornando a Hegel, «nessun carattere è in sé fermo e sicuro di se stesso» (G. W. F. Hegel, Lezioni di estetica).

Intanto, per il fruitore che contempla tutto ciò, «una felice beatitudine nell’infelicità» (Ibid.).


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