"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 

8.  Schizofrenie

 

 


 

«Nel mondo shakespeariano c’è una contraddizione tra l’ordine dell’azione e l’ordine morale. Questa contraddizione è il destino umano. Uscirne è impossibile.»

(J. Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Milano 2006)

 

 «Persistesse il folle nella sua follia, sarebbe saggio.» (W. Blake)

 

  

«Ci si può rompere soltanto se si è già a pezzi» (voce di Joan, in R. D. Laing, L’io diviso, Torino 1969): vero! Le cattiverie della vita lavorano su una faglia già presente da sempre, e come il piatto ancora integro ma già traversato dalle crepe, già si vedono i frammenti in cui si esploderà. Non esiste un prima della divisione; è piuttosto l’io integro la finzione che serve a un certo grado di minimale ben-essere psicologico. «Ma l’uomo l’uomo che non teme la profondità dell’abisso (Ab-grund) e che non si difende con terreni solidi e sicuri (Grund), può accedere alla schizofrenia perché è dell’uomo abitare la dimensione frantumata dell’essere che, inaccessibile nella sua originaria unità, si concede all’uomo solo come lacerazione (Zerrisenheit).» (U. Galimberti, Prefazione a K. Jaspers, Genio e follia, Milano 2001). Lacerarsi, impazzire, è abbandonarsi a una deriva che era già nel cuore a tentare da sempre, a una latenza che cova e ci accompagna come l’ombra necessaria: «Io mi prendo il male che studio e lo covo in me. Non trovo strano che l’immaginazione dia le febbri e la morte a coloro che la lasciano fare e che se ne compiacciono. (…) Gallo Vibio guidò così bene la sua anima a comprendere l’essenza e le variazioni della follia, che la sua mente andò fuori di posto, e mai egli ve la poté ricondurre; ed egli poteva vantarsi di esser diventato pazzo per saggezza.» (M. de Montaigne, Saggi, vol. I, Milano1986), caso di cui Shakespeare dà analoghi in ossimori anche non amletici ma leggeri: «La follia, germinata dalla saggezza, ha tutta la garanzia della saggezza, l’aiuto dell’istruzione e la grazia stessa dello spirito per aggraziare un dotto fatuo» (Pene d’amor perdute, Atto V, sc. 2); «Ecco un pazzo pieno di senso» (A piacer vostro, Atto II, sc. 3); «Va’, sei un pazzo intelligente: ti ho scovato» (Tutto è bene quel che finisce bene, Atto II, sc. 4).

  

 

Nella lacerazione, oltre la debolezza e lo spaesamento angoscioso, una pace più ardua, che ci somiglia di più: «La nostra forza è la scissione, abbiamo perduto l’ingenuità» (K. Jaspers, Genio e follia). Strada con morti e feriti, molti dei quali amletici: «La sua forza di volontà funzionava a strattoni e quindi fanaticamente; in realtà, non desiderava nulla; era fatalista, credeva nella sfortuna; di temperamento sanguigno, sperava tutto. (…) E’ consapevole di questa “ambivalenza” del suo carattere, comune del resto a tutti gli uomini per la contraddittorietà di tutto il pensabile. Ma essa appare con maggior violenza quando non incontra davanti a sé che un debole potere di sintesi, una debole capacità di realizzare una forma armonica di esistenza, quando si cede troppo presto agli impulsi e le contraddizioni vengono vissute senza riserve, nel pensiero e nei gesti, senza che intervenga la consapevolezza del compito di coordinarle verso una meta» (K. Jaspers, Genio e follia, su A. Strindberg).

 

Il punto sarà proprio questo compito di darsi una soluzione? Ma il compito di per sé è solo un passo, per lo più donchisciottesco e a casaccio, della volontà di soluzione – di una soluzione pur che sia. Mentre magari compito e soluzione semplicemente non sono la stessa cosa, e il proprio compito è agire ma senza soluzioni: presi nella fresca aria di cristallo di una costante attenzione - «però non bisogna dimenticare che un vaso rotto rimane un vaso rotto.» (V. van Gogh, ottobre 1889), e l’uomo è un vaso rotto.


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