«Dal “nothing will come of nothing”
di Lear al “Nothing is / But what is not” di Macbeth,
dalla “thing of nothing” di Amleto al “nothing (-sometihing)”
di Iago, e poi, a quello di Leonte, l’esperienza del
non-essere percorre quasi per intero l’universo shakesperiano,
annidandosi nelle immagini di un incombente dissesto universale,
dominato dalle figure della Morte e della malattia, e affiorando nel
martellante impiego del termine “nothing”, cifra della perdita del
valore, oppure del senso, ma anche figura dell’apparire e delle
immagini di ‘ciò che non è’ su un piano fenomenico.»
«I termini “Nothing” e “naught/nought”
hanno un’altissima frequenza nel canone shakesperiano (671 occorrenze
il primo, 23 il secondo e 69 il terzo), dove compaiono sia in
posizione aggettivale sia sostantivale, perlopiù col significato di
non-valore (di una cosa o di una persona), e/o non-senso.»
(da: S. Bigliazzi, Nel prisma
del nulla. L’esperienza del non-essere nella drammaturgia
shakesperiana, Napoli 2005)