"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 

58.  Testi per caso

 

 


«I copioni, spesso scritti a più mani, e comunque continuamente modificati dagli interventi degli attori in base alle condizioni obiettive dello spettacolo e all’atteggiamento del pubblico, rimanevano di proprietà della compagnia, che spesso non aveva interesse a pubblicarli nel timore che compagnie rivali potessero riprendere i suoi spettacoli di maggior successo. I librai-editori londinesi facevano invece a gara per assicurarsene la pubblicazione, e se ne garantivano il copyright facendoli registrare nell’albo della corporazione dei cartolibrai (Stationers’ Register); ma accadeva di frequente che editori di pochi scrupoli, anziché ottenere direttamente dalla compagnia i testi da stampare, se li procurassero per vie traverse, pubblicando testi messi insieme avventurosamente con l’aiuto di attori infedeli che mettevano a disposizione le loro singole parti e tentavano, con altri pennaioli disponibili, di fornire ricostruzioni mnemoniche dei drammi. Sono queste le cosiddette edizioni piratesche o, nel caso di Shakespeare, bad Quartos, cioè ‘cattive’ edizioni nel formato in-quarto – fra cui figurano le prime stampe di Romeo and Juliet (1597), Henry V (1600), The Merry Wives of Windsor (1602) e Hamlet (1603).

 

Del resto, anche quando era la compagnia stessa a fornire il testo all’editore, non si trattava quasi mai del prezioso copione in uso per la rappresentazione; il testo stampato era la riproduzione, con varianti più o meno arbitrarie, o di prime stesure manoscritte (foul papers) dall’autore, piene di correzioni e riscritture, scartate dalla compagnia dopo che da esse era stato ricavato il copione (prompt-book) da usare nelle prove; oppure di una bella copia ad opera di un amanuense professionista preparata per compiacere qualche intenditore di teatro. 

Paradossalmente, la nuova immagine di Shakespeare non più come poeta o addirittura come bardo nazionale, ma come mestierante di teatro, si fonda non tanto sulle scoperte delle recenti metodologie della critica letteraria (…), quanto sul più arido e rigorosamente scientifico metodo di avvicinare la sua opera: la critica testuale. Infatti (…) non c’è da meravigliarsi che, della quarantina di drammi che egli scrisse o alla cui stesura collaborò, soltanto quattordici apparvero a stampa durante la sua vita – dapprima senza neppure il suo nome sul frontespizio, e sempre in forme molto approssimative e casuali. La maggior parte furono pubblicati sette anni dopo la sua morte da due attori della compagnia; ma la loro affermazione, nella prefazione del famoso volume in-folio del 1623, secondo cui i testi erano presentati «così come egli li aveva concepiti», è risultata non più che velleitaria. Anche in tal caso si tratta di drammi giunti in tipografia nelle tante maniere avventurose che si sono indicate più sopra.

 

Insomma, i cosiddetti «testi» dei drammi shakespeariani stampati nel tardo Cinquecento e nel Seicento non sono testi letterari, ossia opere  pubblicate in una forma che vuol essere definitiva e permanente, ma semplici documenti teatrali sopravvissuti casualmente alla distruzione cui erano destinati.»

 

(G. Melchiori, Shakespeare, Roma-Bari, 2005)

 

 

Su questo, vedi anche Testi avventurosi


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