Essere -
non
essere -
nessun
essere…
: non è detto che sia
un’entropia. Magari un destino: al punto che solo gl’ultimi sant’anselmi
della fila si ostinano nella ricerca di una prova ontologica
dell’essere, non trovandola.
E’ chiaro a tutti che il più
celebre dei monologhi sbaglia il verbo: nessuno pretende l’Essere di
nessun altro, e neppure il proprio: che farsene infatti? Mentre è
appunto il fare il verbo che Amleto maschera. Se poi pretende di
essere ciò che fa, il caso è derubricabile a megalomania, e non
occorre essere Hegel per sapere che solo Dio è ciò che fa… –
Se poi non essere ciò che si fa, e cioè non essere Dio, sia il vero
dramma, sarà un disastro non più che crepuscolare, una dolenza
intimistica da Signora Felicita, da riferire tutt’al più allo
psicoconsolatore di turno (se ne otterrà un placebo che potrebbe
bastare).
Gentile Principe Amleto, mio
Signore, è un fatto addirittura banale che nessuno pretenda davvero l’Essere
suo, nostro, come di alcun altro: Essere che a questo punto, comico e
dolente, se ci fosse, ci avanzerebbe e ingofferebbe ogni brav’uomo
come il pargolo che Chaplin si ritrova all’inizio del
Monello, e che comprensibilmente cerca di sbolognare al primo
che passa…
Mio Signore, prezioso tragediarca,
voi insistete a farvi leggere a quattrocento anni dall’esordio. Lunga
età per un adolescente col complesso (appena un po’ più metafisico) di
Peter Pan. Voi insistete col vostro Essere o meno, ma qui stiamo come
topi nel formaggio nell’era dell’Essere ridotto a Rom: zingarello non
solo senza fissa dimora ma quasi di certo losco. - Sarà un vizio
adolescente il vostro insistere ad averlo e addirittura a
donarlo codesto «Essere», che pare per voi prezioso come la
verginità d’una donzelletta dei tempi vostri?… Perdetelo, una buona
volta. Come si dice bene in una commedia sempre del vostro Autore (ma
è chiaro da un pezzo che gli siete del tutto scappato di mano):
“Liberatevene, finché è vendibile” (Tutto è bene quel che
finisce bene, atto I, sc. 1): liberatevene, sempre poi che
siate in tempo
Fareste bene, per togliervi certi
grilli dal vostro capo di principe pinocchiesco (un altro ossimoro che
vi si confà), una dose anche solo omeopatica di Heidegger o Severino
(la vostra amata “filosofia”…). - Ricapitolando: l’Essere, anche
l’essere banalmente un uomo come il vostro reverendo Padre, è la sua
dimenticanza; la sua storia è il suo Alzheimer. Uscendo dal
biografico, quest’oblio è l’Occidente: è grazie a questo che
s’è tenuto in seno un cuore di tenebra ed è diventato ricco. Vedete
voi che produttivo è proprio il suo Non-Essere industriosissimo, il
suo non darsi che per prestazioni, calcoli, misure, e – perdonerete il
sarcasmo, voi che ne siete campione - azioni, azioni, azioni…
Solo non essendo più niente, farete
finalmente quanto c’è da fare. Mettete «Io» a disposizione,
servo/padrone obbediente del Babbo Mondo indomabile. E’ facile come
qualunque stupidaggine. A questo punto il miracolo sarà
istantaneo: non siate, e sarete accolto nel paradiso
dell’alienazione fuori del quale anche voi non sareste nulla. – Basta
dire: accoglietemi, ho dato tutto a Cesare e non ho regni in questo
mondo. - Non conta che Cesare, sebbene del tutto accidentalmente,
potreste essere voi stesso, e cioè un altro, e cioè un nemico. Nemico
in più, nemico in meno… Né, del resto, voi combattete…