"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 

5.  Il monello

 

 


  

Essere - non essere - nessun essere : non è detto che sia un’entropia. Magari un destino: al punto che solo gl’ultimi sant’anselmi della fila si ostinano nella ricerca di una prova ontologica dell’essere, non trovandola.

 

E’ chiaro a tutti che il più celebre dei monologhi sbaglia il verbo: nessuno pretende l’Essere di nessun altro, e neppure il proprio: che farsene infatti? Mentre è appunto il fare il verbo che Amleto maschera. Se poi pretende di essere ciò che fa, il caso è derubricabile a megalomania, e non occorre essere Hegel per sapere che solo Dio è ciò che fa…  – Se poi non essere ciò che si fa, e cioè non essere Dio, sia il vero dramma, sarà un disastro non più che crepuscolare, una dolenza intimistica da Signora Felicita, da riferire tutt’al più allo psicoconsolatore di turno (se ne otterrà un placebo che potrebbe bastare).

 

Gentile Principe Amleto, mio Signore, è un fatto addirittura banale che nessuno pretenda davvero l’Essere suo, nostro, come di alcun altro: Essere che a questo punto, comico e dolente, se ci fosse, ci avanzerebbe e ingofferebbe ogni brav’uomo come il pargolo che Chaplin si ritrova all’inizio del Monello, e che comprensibilmente cerca di sbolognare al primo che passa…

 

 

 

Mio Signore, prezioso tragediarca, voi insistete a farvi leggere a quattrocento anni dall’esordio. Lunga età per un adolescente col complesso (appena un po’ più metafisico) di Peter Pan. Voi insistete col vostro Essere o meno, ma qui stiamo come topi nel formaggio nell’era dell’Essere ridotto a Rom: zingarello non solo senza fissa dimora ma quasi di certo losco. - Sarà un vizio adolescente il vostro insistere ad averlo e addirittura a donarlo codesto «Essere», che pare per voi prezioso come la verginità d’una donzelletta dei tempi vostri?… Perdetelo, una buona volta. Come si dice bene in una commedia sempre del vostro Autore (ma è chiaro da un pezzo che gli siete del tutto scappato di mano): “Liberatevene, finché è vendibile” (Tutto è bene quel che finisce bene, atto I, sc. 1): liberatevene, sempre poi che siate in tempo

 

Fareste bene, per togliervi certi grilli dal vostro capo di principe pinocchiesco (un altro ossimoro che vi si confà), una dose anche solo omeopatica di Heidegger o Severino (la vostra amata “filosofia”…). - Ricapitolando: l’Essere, anche l’essere banalmente un uomo come il vostro reverendo Padre, è la sua dimenticanza; la sua storia è il suo Alzheimer. Uscendo dal biografico, quest’oblio è l’Occidente: è grazie a questo che s’è tenuto in seno un cuore di tenebra ed è diventato ricco. Vedete voi che produttivo è proprio il suo Non-Essere industriosissimo, il suo non darsi che per prestazioni, calcoli, misure, e – perdonerete il sarcasmo, voi che ne siete campione - azioni, azioni, azioni…

 

 

 

Solo non essendo più niente, farete finalmente quanto c’è da fare. Mettete «Io» a disposizione, servo/padrone obbediente del Babbo Mondo indomabile. E’ facile come qualunque stupidaggine. A questo punto il miracolo sarà istantaneo: non siate, e sarete accolto nel paradiso dell’alienazione fuori del quale anche voi non sareste nulla. – Basta dire: accoglietemi, ho dato tutto a Cesare e non ho regni in questo mondo. - Non conta che Cesare, sebbene del tutto accidentalmente, potreste essere voi stesso, e cioè un altro, e cioè un nemico. Nemico in più, nemico in meno… Né, del resto, voi  combattete…


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