«…ogni progetto che tenta la comprensione e l’abbraccio totale è
follia.»
(U.
Galimberti, Parole Nomadi, Feltrinelli, 2006)
«Con
le opere devi correggere la tua cattiva volontà, che si è data a opere
viziose.»
(Pseudo
Meister Eckhart, Diventare Dio, Milano 2006)
«Invece, nella condizione in cui mi trovo, ignorando quel che sono e
quel che debbo fare, non conosco né la condizione né il mio dovere.»
(B.
Pascal, Pensieri)
«Per
noi in principio c’era l’azione. La parola l’ha seguita, sua ombra
sonora.»
(L.
Trotskij, Letteratura e rivoluzione)
Il caotico cielo
stellato sopra di me sarà la prova che nessuna legge morale è dentro
di me? (E viceversa?) – Certi Dover Essere possono rendere,
invece che puntuali come il suo inventore, svogliati. Foss’anche,
usciamo, usciamo dall’introverso blablà di Amleto, e pensiamo un po’
agli altri! Ne guadagnerà moltissimo la comprensione non solo del
dramma, ma della stessa personalità del Nostro! - Che il principino
dialettico sia apparso a troppi un ciancicadubbî sistematico,
costretto per eccesso di sottigliezza a incantarsi ogni volta a un
passo dal fare, potrà essere un peccato solo nostro, attivissimi a
sentirci intelligenti giudicando lui vanamente questionante dal fondo
della nostra fetale poltrona.
I fatti già da soli
ci dicono che, mentre monologa con noi cinque minuti alla
volta, dentro il dramma Amleto ne combina di tutti i colori,
fin troppo turbinosamente e quasi mai tenendosi all’essenziale (il
che, del resto, come dirà Baudelaire nel Mio cuore messo
a nudo, è proprio il segno della giovinezza): «Il risultato
però è morale, cioè questo: che noi da ciò che facciamo riconosciamo
ciò che siamo, e così pure da ciò che soffriamo riconosciamo ciò che
meritiamo.» (A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena).
VLADIMIRO E se ci
pentissimo?
ESTRAGONE Di cosa?
VLADIMIRO Be’… Non
sarebbe proprio indispensabile scendere ai particolari.
(S. Beckett,
Aspettando Godot)
In quanto a
(cattive) azioni, Amleto ha i suoi precedenti per niente nascosti nel
dramma: sa infatti tutto delle gozzoviglie dei giovani universitari
fuori sede, lontani dagli occhî seriosi di mamma e papà. I ricordi con
gli amici ritrovati – tanto Rosencrantz e Guildenstern che Orazio –
sono di crapule e bisbocce. Risucchiato nel vortice ovviamente
traumatico della morte improvvisa di un ancor giovane babbo, e dal
matrimonio istantaneo della mamma con lo zio, l’avventatissimo Amleto
(ricordarsi tutti quei “fermati!” dei suoi compagni sullo spalto del
primo atto!) si infiamma sia per uno spettro che andrebbe invece molto
prudentemente meditato, che per un gruppo di attori girovaghi a cui
subito propina versi nuovi per il dramma. Grafomane per Ofelia,
schizza come un Gatto Silvestro dal letto incestuoso della mamma a
infilare un arazzo scommettendo di far fuori il topo giusto. La
congiuretta di Rosencrantz e Guildenstern la rigira contro i due senza
l’uggia d’uno scrupolo. E, dopo avergliela facilissimamente menata a
un’intera nave di pirati, salta con Laerte sulla tomba di Ofelia
urlando imprecando e sfidando, per infine scatenarsi nel duello
letale, in cui però ci si svelerà straordinariamente allenato.
Ecco allora nel principe qualcosa di
più e di opposto del giovine dai «rari piaceri» (N. Frye,
Shakespeare, Torino 1990) e del «primo degli
intellettuali infelici» (G. de Santillana – H. von Dechend, Il
mulino di Amleto, Milano 2003)! Avevano ragione i compagni del
primo atto sugli spalti a guatare l’arcigno fantasma: «Fermati,
Amleto!».
Trattasi del resto
di un giovane che – lo zio patrigno più volte lo ripete – troppo
amato dal popolo per poterlo liquidare impunemente; e l’amore
delle masse non lo si accatta certo a forza di busillis e sillogismi
fantasmatici: quell’amore confermerà piuttosto una sua felice
estroversione, un’affettività del tutto risolta nel mondo, e per
questo varrà bene vederlo tra gli attori arioso e musicale, elegante e
amorevole.
Gadda accantonava in
una nota un accenno, forse, alla stessa questione: «Un discorso circa
la creduta abulia amletica, circa il determinismo e l’asserito
agnosticismo del dramma sarebbe qui fuori di luogo. E’ un discorso
complicato però» (C. E. Gadda, I viaggi la morte).
Tipo questo dell’amletico Bruto:
«Tra l’esecuzione di una terribile azione e il primo impulso a farla,
tutto l’intervallo è quale un fantasma o un orribile sogno; l’anima
che ragiona e le terrene passioni stanno allora a consiglio; e lo
stato dell’uomo, quale piccolo regno, soffre allora una specie di
rivoluzione» (Giulio Cesare, Atto II, sc. 1)? – L’azione
catastrofica, lenta e inesorabile, nelle comiche di Stallio e Ollio
si chiamava slow burning. - Pensabile quindi, tra pensiero e
azione, un dimenarsi a fuoco lento, fino a fare niente invece
che tutto, fino a un tutto da niente: «Una azione fermata nell’atto
abortito è quanto m’è piaciuto definire sospensione del tragico.
E’ così che, grazie all’interferenza d’un accidentaccio, la surgelata
lama del comico si torce lancinante nella piaga inventata tra
le pieghe risibili-velate della rappresentazione nel teatro senza
spettacolo. Annientamento erotico.» (C. Bene, Opere,
Milano 2002).