"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 

43.  Teatri crudeli

 


«Il teatro della crudeltà espelle Dio dalla scena. Non mette in scena un nuovo discorso ateo, non presta la parola all’ateismo, non apre lo spazio teatrale a una logica filosofante che proclami una volta di più, come se non fossimo già stanchi di questo, la morte di Dio. Nella sua azione e nella sua struttura, la pratica teatrale della crudeltà già abita o meglio produce uno spazio non-teologico.

La scena è teologica finché resta dominata dalla parola, da una volontà di parola, dal disegno di un logos primo che non appartiene al luogo teatrale e lo dirige a distanza. La scena è teologica finché la sua struttura comporta, secondo la tradizione di sempre, i seguenti elementi: un autore-creatore che, assente e da lontano, armato di un testo, sorveglia, raccoglie e determina il tempo o il senso della rappresentazione, lasciando che questa lo rappresenti in quello che viene definito il contenuto dei suoi pensieri, delle sue intenzioni, delle sue idee. Lo rappresenti per mezzo di rappresentanti, registi e attori, interpreti asserviti che rappresentano dei personaggi i quali, in primo luogo con quello che dicono, rappresentano più o meno direttamente il pensiero del «creatore». Schiavi che interpretano, eseguono fedelmente i disegni provvidenziali del «padrone». Il quale poi – è la regola ironica della struttura rappresentativa che organizza tutto questi rapporti – non crea nulla, si dà solo l’illusione di creare poiché non fa che trascrivere e dare da leggere un testo che è necessariamente, a sua volta, di natura rappresentativa e che col «reale» (l’ente reale, quella «realtà» di cui Artaud dice nell’Avertissement al Moine che essa è un «escremento dello spirito») mantiene un rapporto imitativo e riproduttivo. Infine, un pubblico passivo, seduto, un pubblico di spettatori, di consumatori, di jouisseurs – come dicono Nietzsche e Artaud – che assistono a uno spettacolo privo di volume e di profondità autentici, piatto, offerto al loro sguardo di voyeur. (Nel teatro della crudeltà, la pura visibilità non è suscettibile di voyeurismo). Questa struttura generale in cui ciascuna istanza è legata da un rapporto di rappresentazione a tutte le altre, in cui l’irrappresentabile del presente vivo è dissimulato o dissolto, eliso o convogliato nella catena infinita delle rappresentazioni, questa struttura non è mai stata modificata. Tutte le rivoluzioni l’hanno lasciata intatta, hanno anzi il più delle volte mirato a proteggerla o a restaurarla. E’ sempre il testo fonetico, la parola, il discorso trasmesso – eventualmente dal suggeritore, che con la sua buca è il centro nascosto ma indispensabile della struttura rappresentativa – a garantire il movimento della rappresentazione. Per quanto rilievo possano assumere, tutte le forme pittoriche, musicali e perfino gestuali introdotte nel teatro occidentale non fanno altro, nel migliore dei casi, che illustrare, accompagnare, servire, abbellire un testo, un tessuto verbale, un logos che si dice in partenza.»

 

(J. Derrida, Prefazione a A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, Torino 2000)


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