«…non è difficile immaginare quale
sarebbe stato l’atteggiamento di Shakespeare; non è difficile,
intendo, se si legge Shakespeare e non soltanto quello che hanno
scritto di lui.
Parlando, per esempio, da direttore
di un teatro di Londra attraverso le parole del coro di Enrico V,
Shakespeare si lamenta delle esigue dimensioni del palcoscenico su cui
deve rappresentare lo sfarzo di un grande dramma storico, e della
mancanza di scenografia che lo costringe a tagliare alcuni degli
avvenimenti più pittoreschi, si scusa per l’esiguo numero di comparse
che interpretano i soldati e per la povertà degli arredi, e infine
esprime il rimpianto di non poter portare in scena cavalli veri.
Nel Sogno di una notte di mezza
estate ci dà un divertente ritratto dei problemi dei direttori del
suo tempo per la mancanza di scene adatte. In verità, è impossibile
leggerlo senza constatare che insorge continuamente contro le due
limitazioni peculiari al palcoscenico elisabettiano: la mancanza di
scene, e l’abitudine di far interpretare da uomini i ruoli femminili,
così come insorge contro altre difficoltà con cui devono ancora
combattere i direttori: attori che non capiscono il loro ruolo; attori
che non riconoscono la battuta a cui devono rispondere; attori che
improvvisano; attori che strizzano l’occhio al pubblico e attori
dilettanteschi.»
(O. Wilde, Shakespeare e la
scenografia, in Autobiografia di un dandy, Milano 1996)