"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 

35.  Per il pubblico

 

 


AMLETO - …farà forse ridere gli incompetenti, ma non può che intristire gli esperti, il cui giudizio deve aver più peso nella vostra considerazione di un intero teatro di quegli altri.

(Atto III, sc. 2)

 

«Accade a volte che a una prima a Londra l’aspetto meno gradevole dell’intero spettacolo sia il dramma. Ho visto molti spettatori più interessanti degli attori e ho spesso ascoltato dialoghi più avvincenti nel foyer che sul palcoscenico.»

(O. Wilde, “Amleto” al Lyceum, in Autobiografia di un dandy, Milano 1996)

 

«Avanti signori avanti si va subito ad incominciare per maggior comodo e distruzione di tutte le persone che sono dilettanti.»

(C. Bene, Pinocchio in Opere, Milano 2002)

  

 

Quanta pazienza e nonchalance dovrà avere un pubblico shakespeariano autentico, filologicamente inappuntabile non meno del testo e della messinscena? E tanto più nel lunghissimo Amleto! Perché un fluviale Amleto offerto in edizione critica originale, cosa che in realtà non si faceva neanche sotto Giacomo I, nel teatro di prosa borghese sarà una feconda – si spera – impertinenza: come un’opera barocca eseguita da orchestrali che dal golfo mistico, in ottocentesco frac obbediscano alla bacchetta d’un direttore! – Il pubblico elisabettiano, si sa, era più analfabeta dei beceri adoratori del wrestling, ma più paziente e con più memoria: se riusciva ad ascoltare in piedi un paio d’ore di John Donne che sermoneggia barocchissimo e implacabile, Amleto sarà stato ben più agevolmente digeribile: con fantasmi, veleni, becchini, duelli, e Ofelia che alla fine almeno a parole si discinge, a controbilanciare le tirate su Ecuba e il non essere, almeno c’era da far fantasiare – potenza della parola in una scena nuda! - gli occhî della mente fino alla fine.

 

«Il pubblico teatrale vien colpito da quello che vede ben più che da quello che sente» (O Wilde, Autobiografia di un dandy, Milano 1996); «I TEMI. Non si tratta di opprimere il pubblico con preoccupazioni cosmiche trascendenti. Che possano esservi chiavi profonde del pensiero e dell’azione in base alle quali leggere tutto lo spettacolo, ciò non riguarda in genere lo spettatore il quale non prova per esse il minimo interesse. Tuttavia è necessario che queste chiavi esistano; e la cosa riguarda noi.»(A. Artaud, Il teatro e il suo doppio).

 

 

 

Magari, gli astanti, non tutti troppo ignoranti, però, e capaci di ascoltare Amleto anche se, come perfino nelle commedie perfette di Billy Wilder, qualche battuta qua e là si perde. Ed è Amleto stesso, quando istruendo i teatranti rivela la sua vera vocazione, proprio questo presuppone: che ci siano a teatro persone e persone, e che il solo consenso da cercare è quello degli esperti (Atto III, sc. 2).

 

«E’ mia opinione che i drammi fossero destinati a un pubblico discretamente colto. Certo, tra gli spettatori di platea, quelli che pagavano un penny per stare in piedi davanti al palcoscenico, dovevano esserci degli analfabeti, ma non era sulla loro presenza che il teatro contava per sostenersi e, per quanto ne sappiamo, non si offendevano del fatto che una cospicua parte del discorso passasse sulle loro teste come indecifrabile.»

(N. Frye, Shakespeare, Torino 1990)

 

 Non offendersi dell’indecifrabile è una prova di civiltà altissima e sempre più rara… accettare che il teatro offra un «congegno» che una volta «caricato funzionerà senza curarsi delle reazioni del pubblico» (A. Artaud, Op. cit.); un teatro che dica al pubblico «Lor signori, ne converranno, non esistono.» (G. Manganelli, Hyperipotesi, in  Tragedie da leggere, Torino 2005)


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