AMLETO - …farà
forse ridere gli incompetenti, ma non può che intristire gli esperti,
il cui giudizio deve aver più peso nella vostra considerazione di un
intero teatro di quegli altri.
(Atto III, sc.
2)
«Accade a volte
che a una prima a Londra l’aspetto meno gradevole dell’intero
spettacolo sia il dramma. Ho visto molti spettatori più interessanti
degli attori e ho spesso ascoltato dialoghi più avvincenti nel foyer
che sul palcoscenico.»
(O. Wilde,
“Amleto” al Lyceum, in Autobiografia di un dandy, Milano
1996)
«Avanti signori
avanti si va subito ad incominciare per maggior comodo e distruzione
di tutte le persone che sono dilettanti.»
(C. Bene,
Pinocchio in Opere, Milano 2002)
Quanta pazienza e nonchalance
dovrà avere un pubblico shakespeariano autentico, filologicamente
inappuntabile non meno del testo e della messinscena? E tanto più nel
lunghissimo Amleto! Perché un fluviale Amleto
offerto in edizione critica originale, cosa che in realtà non si
faceva neanche sotto Giacomo I, nel teatro di prosa borghese sarà una
feconda – si spera – impertinenza: come un’opera barocca eseguita da
orchestrali che dal golfo mistico, in ottocentesco frac obbediscano
alla bacchetta d’un direttore! – Il pubblico elisabettiano, si sa, era
più analfabeta dei beceri adoratori del wrestling, ma più paziente e
con più memoria: se riusciva ad ascoltare in piedi un paio d’ore di
John Donne che sermoneggia barocchissimo e implacabile,
Amleto sarà stato ben più agevolmente digeribile: con
fantasmi, veleni, becchini, duelli, e Ofelia che alla fine almeno a
parole si discinge, a controbilanciare le tirate su Ecuba e il non
essere, almeno c’era da far fantasiare – potenza della parola in una
scena nuda! - gli occhî della mente fino alla fine.
«Il pubblico teatrale vien colpito
da quello che vede ben più che da quello che sente» (O Wilde,
Autobiografia di un dandy, Milano 1996); «I TEMI. Non si
tratta di opprimere il pubblico con preoccupazioni cosmiche
trascendenti. Che possano esservi chiavi profonde del pensiero e
dell’azione in base alle quali leggere tutto lo spettacolo, ciò non
riguarda in genere lo spettatore il quale non prova per esse il minimo
interesse. Tuttavia è necessario che queste chiavi esistano; e la cosa
riguarda noi.»(A. Artaud, Il teatro e il suo doppio).
Magari, gli astanti, non tutti
troppo ignoranti, però, e capaci di ascoltare Amleto anche se, come
perfino nelle commedie perfette di Billy Wilder, qualche
battuta qua e là si perde. Ed è Amleto stesso, quando istruendo i
teatranti rivela la sua vera vocazione, proprio questo presuppone: che
ci siano a teatro persone e persone, e che il solo consenso da cercare
è quello degli esperti (Atto III, sc. 2).
«E’ mia opinione che i drammi fossero destinati a un pubblico
discretamente colto. Certo, tra gli spettatori di platea, quelli che
pagavano un penny per stare in piedi davanti al palcoscenico, dovevano
esserci degli analfabeti, ma non era sulla loro presenza che il teatro
contava per sostenersi e, per quanto ne sappiamo, non si offendevano
del fatto che una cospicua parte del discorso passasse sulle loro
teste come indecifrabile.»
(N. Frye, Shakespeare, Torino 1990)
Non offendersi dell’indecifrabile
è una prova di civiltà altissima e sempre più rara… accettare che il
teatro offra un «congegno» che una volta «caricato funzionerà senza
curarsi delle reazioni del pubblico» (A. Artaud, Op. cit.);
un teatro che dica al pubblico «Lor signori, ne converranno, non
esistono.» (G. Manganelli, Hyperipotesi, in Tragedie da
leggere, Torino 2005)…