"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 

29.  Shakespeare hylarotragico

 

 


 

In giusta polemica col grande Michail Bachtin de La parola del romanzo (ora in Estetica r romanzo, Torino, 1979) il quale negava al teatro la «parola bivoca» e cioè polifonica del romanzo (campione supremo, Dostoevskij), Serpieri scrive: «e Amleto stesso non è poi un ideologo variabile, e perciò quant’altri mai polifonico, che fa la parte dello sciocco, del buffone e perfino del furfante, all’interno della sua parte di impossibile eroe epico?» (A. Serpieri, Polifonia shakespeariana, Roma 2002). Il non meno classico Auerbach aveva visto con ben altra acutezza che «di importanza decisiva per il carattere stilistico della tragedia di Shakespeare è (…) la mescolanza degli stili nelle stesse persone tragiche» (E. Auerbach, Il principe stanco, in Mimesis, Torino 1981). Codesta miscedanza stilistica è a sua volta un sintomo di un mondo in corsa, sbalestrato fuori dalle rocciose simmetrie antropo e divino-centriche del modello che vediamo operare benissimo in Dante, «di un mondo rinnovantesi di continuo e legato in tutte le sue parti» (Ibid., citato da Serpieri e da lui anche sottolineato).

 

Sempre Auerbach: «La concezione figurale di Dante (…) non esiste più; già in questo mondo le persone tragiche trovano la loro ultima perfezione, quando, grevi di destino, maturano come Amleto, Macbeth, e Lear. Però, oltre che essere impigliati soltanto nel loro proprio destino, sono tutti legati tra di loro, attori di uno stesso dramma scritto dallo sconosciuto e insondabile poeta del mondo, che continua tutt’ora a scriverlo; è un gioco il cui vero significato e la cui vera realtà sono sconosciuti a loro ed a noi» (Ibid.).

 

 

 

Era del resto qualcosa di già notato: «Una strana cosa dell’animo umano è la facoltà di accomunare il terribile e il ridicolo: così la fantasia ama rendere un oggetto allo stesso tempo comico e agghiacciante, in modo che proprio quel che ora provoca grandi risate, più tardi, con una fantasia ansiosa, può farci rabbrividire. E’ tipica della mobilità incredibilmente veloce dell’immaginazione la facoltà di collegare allo stesso oggetto, in due momenti successivi, idee completamente diverse che possono suscitare ora il riso, ora l’orrore. Nelle favole di fantasmi e di streghe che racconta la gente comune son presenti sia tratti terribili che ridicoli. Ma è facile scoprire che se si toglie il ridicolo l’orrore perderà gran parte della sua forza e che è proprio ciò che in un momento può stimolarci al riso che in una fantasia esaltata suscita l’orrore. I bambini si spaventano di fronte a caricature dipinte e altrettanto facilmente ne ridono; le streghe del Macbeth sarebbero oggetti comici se le circostanze in cui noi le conosciamo non le rendessero terribili» (L. Tieck, Il meraviglioso in Shakespeare, 1793; in M. Fazio, Il mito di Shakespeare e il teatro romantico, Roma 1992).


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