«Essere o non
essere: questo è il problema.»
(Amleto,
Atto III, sc. 1)
«poche persone
anteporrebbero il giusto all’utile se non fossero trattenute dal
timore di Dio o dall’attesa di un’altra vita.»
(CARTESIO,
Meditazioni metafisiche sulla filosofia prima, 1641)
«La scienza è
felice di rispondere
Che i fantasmi
che ossessionano la nostra vita
Diventano
trattabili con specchi e telegrafo,
che la canzone
lo zucchero e il fuoco,
coraggio e occhi
imperiosi
sanno farci
piuttosto bene.
Ma come
escogitare un’abitudine?
La nostra
meraviglia, il nostro terrore rimane.»
(W. H. Auden,
Il mare e lo specchio)
…non si potrà fare che così:
intendere il to be or not to be, «il liso monologo» (G.
Baldini, Manualetto shakespeariano, Torino 1967), come
il colpo di teatro capitale dell’opera («per quanto triste, rimane
il cuore della tragedia», N. Frye, Shakespeare, Torino 1990).
Rincara Girard: «In Shakespeare, come in tutti i grandi scrittori
mimetici, l’indecibilità è la regola…» (R. Girard, Shakespeare.
Il teatro dell’invidia, Milano 2002). Essere o non essere?
Come per Lorenzaccio, «più che porsi il dilemma, era il
dilemma a porsi» (C. Bene, Opere, Milano 2002).
Dunque: né glossa incomprensibile
all’azione-che-non-c’è; né un soliloquio di meno tra i tanti che
Amleto sparge in questo suo tratto estremo di vita; né la parentesi
bisbigliosa dell’attore che non sa proprio più come dirla e allora
quasi si scusa; né il Do di petto del tenor-mattator-matador che tutti
gli astanti attendono tal quale l’acuto apocrifo del Di quella pira
(Ah è così? - vedi Carmelo Bene - allora passo la battuta a
Orazio!).
Ora, resterà sempre più facile fare
i baffi alla Gioconda che da un paio di baffi tirar fuori Monna
Lisa, il che pare invece essere proprio quello che Amleto junior seppe
fare, col to be or not del brusco pulsionale precetto dello
Spirito Paterno (“Vendicami!”).
“Questo è il problema” è
l’Eureka di Amleto, la mela satanica che, cadutagli in capo, gli svela
la vera gravità della cosa: che cosacce tocca fare se si vuole ancora
essere… il che non vuol dire che il pubblico colga qualcosa di
più d’un do di petto, che tanto meglio sarebbe se non ci fosse.
Difficile immaginare delle Giuste istruzioni per lo spettatore
dell’essere o non essere: e vengono in mente Petrolini («Io non
ho mai capito che cosa voleva Amleto») e Nietzsche: «Possibile?
L’ascoltatore avrebbe delle pretese? Le parole dovrebbero
essere comprese?» … Essere o non essere non sembrerà
facile neppure all’omino della Bialetti che però conosce la
finezza d’un caffè. In caso contrario, a chi credesse che il
dilemmatico monologo si riduca a chiedersi se valga la pena di campare
ancor o addormentarsi da salme, benché tra gl’incubi, piazziamo di
Eraclito l’oscuro il molto amletico e micidiale frammento: «La
Morte è tutto ciò che vediamo desti, e tutto ciò che vediamo dormienti
è il Sonno» (fr. 21 Diels-Kranz). O peggio, e ancora più
amletico, il suo vero incubo esplicitato: «Pensiamo questo pensiero
nella sua forma più spaventosa: l’esistenza così come è, priva di
senso e di scopo ma che inesorabilmente ritorna senza concludersi nel
nulla: ecco l’eterno ritorno – la forma più estrema del nihilismo» (F.
Nietzsche). Il destino che Dante riserva solo alla maggioranza
cattiveriosa dell’Inferno; ma lo stesso che leggi nel
celeberrimo Dialogo di un venditore di almanacchi e un
passeggere: il per sempre del già stato sarà sempre l’incubo
più temuto. – Come quasi sempre, può aiutare Schopenhauer: «una
matura considerazione della questione dà per risultato che a
un’esistenza come la nostra sarebbe da preferire la completa non
esistenza, l’idea della fine della nostra esistenza, o di un tempo in
cui non saremmo più, può ragionevolmente turbarci così poco come
l’idea che non siamo mai stati» «Come l’uomo è, così egli è
obbligato ad agire» (A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena).
Intanto due cose: benché eletto
patrono dei melanconici accidiosi, Amleto – testo alla mano! – si
annoia pochissimo, e coi suoi teatrini si dà fin troppo da fare.
Niente énnui, niente spleen, niente stanchezza: a
prescindere dal fatto certo notevole che Amleto resti sospeso sul
fallimento della sua prova ontologica del Non-Essere. Sperava che
almeno il nulla offrisse delle garanzie (G. Manganelli,
Monodialogo, in Tragedie da leggere, Torino 2005). E
invece no. Bella scoperta, direbbe Parmenide-Severino.
«I drammi che noi daremo si pongono
decisamente al riparo da qualsiasi commentatore segreto. Non serve a
nulla – dirà qualcuno. Ci esimerà dal replicare – rispondiamo noi»
(A. Artaud, Il teatro e il suo doppio).