Amleto - Un’assemblea di vermi politici è alle prese con lui.
(Atto IV, sc. 3)
La legge sarà un mezzo o un fine? (E
i fini esistono? Pare che gli uomini tendano a morire prima.). - «
Aiuto, padrone, aiuto! C’è un pesce impigliato nella rete come il
diritto di un pover’uomo nella legge» (Amleto, Atto II, sc.
1); «In fede mia, non mi sono mai occupato molto della legge né ho
mai potuto piegare ad essa la mia volontà; e perciò alla mia volontà
piego la legge» (Enrico VI parte I, Atto II, sc. 4), e
non occorre essere re, e neppure italiano, per pensare della legge
ch’è una «vecchia befana» (Re Enrico IV parte I, Atto I, sc.
1), e questo era Falstaff. Quanto ad Amleto, l’unica legge di cui
pare curarsi davvero è, a parte il quarto comandamento, quella –
sempre non umana – contro il suicidio («o che l’Eterno non avesse
stabilito la sua legge contro l’uccisione di sé…», Atto I, sc. 2).
Niente di nuovo sotto il sole.
Soprattutto perché la sventura del potere svela l’uomo per quello che
è. In questo caso l’ircocervo perde tutta la sua nobiltà, e si fa
destino della sola specie dalle voglie infinite: «L’uomo è l’animale
mostro e il superanimale; l’uomo superiore è l’uomo mostro
e il superuomo: tale è il rapporto. Ogni volta che cresce in grandezza
e in altezza, l’uomo cresce anche in profondità e terribilità: non si
deve voler l’una cosa senza l’altra – o piuttosto, quanto più a fondo
si vuole l’una cosa, tanto più a fondo si raggiunge esattamente
l’altra». (F. Nietzsche, Il caso Wagner) - Che,
se non altro per noia, si finisca col volere tutto, e il peggio prima
del meglio, è la filosofia del marchese De Sade. Se l’umano
sodalizio resta in piedi, sarebbe solo perché ognuno ha le 120
giornate che può, non quelle che vuole.
L’arte della politica consiste anche
nel riuscire a mai sprofondare: sotto la geometria fastosa e villana
dei giochi di forza, nell’evitare con sussiego e sprezzatura ogni
lacrima quando si subisce il tiro incrociato degli intrighi.
E per l’anima che resta bella, nata
appena ieri nel desolante principio di realtà, sarà ben grave
ritrovarsi i propri politici piedi nel diaccio di qualche
immoralissima verità. Urgerebbe quanto meno una poetica e una
filosofia del Fallimento. Oppure lasciare presti e ratti lo straccetto
stinto dell’anima al primo diavolo che passa, e diventare, ancora
meglio di Claudio o Amleto senior, Polonio. Il politico
Polonio, eroe d’uno sconfinato compromesso col mondo, crede non tanto
che occorra «be cruel to be kind» (Atto III, sc. 4), ma che a
tutto quanto c’è rimedio, che il mondo intero è una fiera
fiorentissima di rimedi per tutti i suoi possibili mali: educata
l’anima al galateo tutt’altro che agevole del «non essere», non c’è
pazzo che non sia educabile, né pozzo metafisico su cui non si possa
lievitare: sempre leggeri sulla pellicola di terra che divide il cielo
abissale dall’inferno. Con Polonio s’impara che il politico, più che
volpe o leone, è una libellula.