«Il mondo era
tutto vendetta, avresti detto:
«E’ un mare
ribollente!». La terra non aveva più spazio
Ove camminare,
l’aria era aggredita dalle lance:
le stelle
incominciavano a guerreggiare e terra e tempo
si lavavano le
mani nella discordia.»
(Shāh- nāma,
cit in: G. de Santillana – H. von Dechend, Il mulino di Amleto,
Milano 2003)
«Mi accingo a
venire per fare quella vendetta che potrò…»
(Enrico V,
Atto I, sc. II)
Al posto della vendetta
sanguinolenta, nient’altro che consolazioni ironiche («L’ironia
è la vendetta per procura dello scrittore contro una vendetta
precedente che egli deve compiere per procura.» R. Girard,
Shakespeare. Il teatro dell’invidia, Milano 2002): se poi la
vittima del fine spirito non capisce neppure la battuta? Le
vendette dell’intelligenza si contenteranno della propria
autoreferenzialità, oppure di parole-parole-parole rivolte per lo più
a donne, tra l’altro magari non precise e proprio per questo più
velenose (vedi come Amleto tratta Ofelia e Gertrude)?
«Non c’è salvezza sulla terra /
finché si può perdonare i carnefici» (P. Eluard, versi che cita
e su cui lavora J. Derrida in Perdonare, Milano,
2004, rispondendo a L’imprescriptible, 1986, di V.
Jankélévitch). Identico addirittura il principe di Verona dopo la
morte di Mercuzio: «la pietà non fa che commettere un assassinio,
quando perdona a chi uccide» (Romeo e Giulietta, Atto
III, sc. 1).
Come ci accade spesso, due pensieri
nella stessa testa: «la vendetta è una liberazione. Non vendicarsi
vuol dire avvelenarsi», però anche «la vendetta è una liberazione da
cui non ci si risolleva» (E.
M. Cioran, Quaderni. 1957-1972, Milano 2001).