«Le lacrime e i
sospiri degli amanti,
l'inutil tempo
che si perde a giuoco,
e l'ozio lungo
d'uomini ignoranti,
vani disegni che
non han mai loco,
i vani desideri
sono tanti,
che la più parte
ingombran di quel loco:
ciò che in somma
qua giù perdesti mai,
là su salendo
ritrovar potrai.»
(L. Ariosto,
Orlando furioso, Canto XXXIV, 75)
«Tu conosci la
mia pazzia?» (Salmi, LXVIII, 6)
«Se il cervello
dell’uomo fosse nei suoi calcagni, non correrebbe il rischio di avere
i geloni?»
(Re Lear,
Atto I, sc. 4)
Cominciamo con un testo amato:
«Shakespeare poteva conoscere il Furioso nella bella
traduzione elisabettiana di Sir John Harington, che era stata
pubblicata meno d’un decennio innanzi la composizione di Much
Ado, nel 1591.» (G. Baldini, Manualetto
shakespeariano, Torino 1967).
Nel capolavoro di Ariosto,
come si sa, la medievale nave dei folli s’è allargata a cosmo
dissestato e la pazzia universale ha il suo ontologico poema. La
certezza che altro non vi sia da vivere che in un mondo di folli, è
talmente saputa da potersi concedere tutta l’ariosa inesorabilità
dell’ironia. Tempora et mores: se per il desuetissimo gotico
Dante dal manicomio del mondo vi sono uscite almeno extra-mondane,
da Ariosto in poi il labirinto senza fine si dipana passando non più
che da un reparto di picchiatelli all’altro perfino cambiando pianeta.
«La pazzia, signore, se ne va a
spasso attorno al mondo come il sole, e splende dovunque» (La
dodicesima notte, Atto III, sc. 1). Sarà allora chiaro che i
meno alienati siano proprio quelli che il mondo chiama folli: «Gli
uomini sono così necessariamente pazzi che il non essere pazzo
equivarrebbe a esser soggetto a un altro genere di pazzia» (B.
Pascal, Pensieri): più che la pazzia, sarà allora da
dissimularsi nel filosofico viver nascosti la propria sanità, e non
per falsa modestia, ma proprio perché non venga punita! –A scatenarsi
in un liberissimo esame della Bibbia, si potrebbe scoprire che Dio
l’ha sempre saputo («Dio ha scelto le cose stolte del mondo»,
Corinzi, I, 27). - Tutti pazzi per tutto, dunque. A fare gli
statistici, nella curva di Gauss della follia, la pazzia dei pazzi
starà ai bordi, sarà periferica e minoritaria, patetica e innocua,
rispetto a quella politicamente corretta degli uomini normali. Da ciò
le millenarie cornucopie di disastri su cui occorre far scivolare il
nostro breve giro di surf: ed «è un vero peccato che i pazzi non
possano parlar saggiamente di ciò che gli uomini saggi fanno
pazzamente» (A piacer vostro, At. I, sc. 2).
Nel «globo impazzito» (Amleto,
Atto I, sc. 5), nel «pazzo mondo», dove regna sempre tetragono
solo «l’Interesse» (Sogno di una notte di mezza estate, Atto
II, sc. 1), qui proprio come nella selva di Dante tenuta dalla
lupa, a chi dare retta? e chi almeno odiare? «…nessuno è colpevole
quando tutti farneticano!» (Pene d’amor perdute, Atto III,
sc. 3).