"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 

11.  Historie de/o

 

 


 

«Tu sei un semplice mortale e perciò la tua mente deve ospitare due pensieri alla volta.» (Bacchilide, Apollo ad Admeto, cit. in M. Blanchot, L’infinito intrattenimento)

 

«…voi che constatate i disordini prodotti dal dubbio…»

 (Cartesio, Meditazioni metafisiche sulla filosofia prima, 1641)

 

«…io mi spavento e stupisco di trovarmi qui piuttosto che là…» (B. Pascal, Pensieri)

 

«Essere o…»

(Amleto, Atto III, sc. 2)

                    

 

Perché «o»? Da schizoidi spontaneamente sottili, incapaci di equamente inique rasoiate alla Ockham, cadiamo nella stessa trappola e facciamo conto di scegliere le due cose insieme: l’essere e il non. Se «ogni scelta comporta un’infelicità volontaria» (W. H. Auden, Lezioni su Shakespeare) perché forzarsi? – La controscelta invece della coincidentia oppositorum, una strategia petrarchesca dell’ossimoro sistematico (Sonetto 134: «Pace non trovo, et non ò da far guerra», con quel che segue) potrebbe dunque coincidere col salvarsi la vita («L’uomo vive dei suoi problemi e muore delle sue soluzioni», N. Gòmez Dávila, In margine a un testo implicito, Milano 2001)! - «Ah, le vecchie domande, le vecchie risposte, che c’è di più bello!» (S. Beckett, Finale di partita), e anche in Beckett il problema poteva apparire «una variazione di Amleto: crepare o non crepare, questo è il problema» (T. W. Adorno, Tentativo di capire «Finale di partita», in T. Beckett, Teatro completo, Torino 1994).

 

Ecco allora che s’intuisce subito un intero ecosistema nell’epochè di quell’«o» tra l’essere e il non, cerchietto più arduo d’una fede al dito, da blandire e forzare per una indispensabile metamorfosi in «e»! Così ragionano gli immedicabili, e cioè noi che « non ci atteniamo mai al presente» (B. Pascal, Pensieri): quel tempo scemo che pur andrebbe onorato.

 

 

 

Amleto, si sa, come tutti quelli che hanno creduto troppo al papà, si sottovaluta. E si stracapisce. Quando invece ha ciecamente intuito che vivere sarà proprio infilarsi nel buco dell’«o» della fascistissima antitesi! Finché non cade da topo nella trappola sua e degli eventi, Amleto predica male e pratica benissimo: tenendo a bada – nevrosi beata! – l’uno e l’altro: barcamenando la Società per Azioni e non Azioni dell’Essere & Non Essere; ribadendo ilarodolente, la sua responsabilità sconfinatamene limitata. - Il che dimostra quanto dolente e allo stesso tempo pieno di grazia sia essere Hamlet, essere l’«o» che non disgiunge i turbinii fraterni del Sì e del No: un guscio di noce micro-infinito, tetragono e instabile come nessun’altra cosa. Avesse resistito, avrebbe potuto diventare un Cioran («La mia forza sta nel non aver trovato risposta a niente»), ovviamente del tutto consapevole delle proprie strategie: primo, «E’ così difficile guardare le cose in faccia, e così comodo attenersi ai problemi(E. M. Cioran, Quaderni. 1957-1972, Milano 2001); secondo,  «quando si sa che ogni problema è soltanto un falso problema, si è pericolosamente vicini alla salvezza» (E. M. Cioran, Il funesto demiurgo): che sarebbe poi cosa?

 

Viver di un’incerta vita

Or sperando ora temendo,

questa è morte, non è vita:

meglio val dare, morendo,

agli affanni via d’uscita.

     Dunque più mi converrà

di finirla? No, non va,

che, a pensarci bene, sente

il timore la mia mente

di quel che di poi sarà.

(M. de Cervantes,

Don Chisciotte, libro II, cap. XVIII)

 

 

 

Per l’Imitatio Hamleti si riassume (ma chi ha mai bisogno di istruzioni per questo?): lasciare pure alla Realtà, questa mamma così poco materna, la coda di lucertola d’un proprio Io non più che obbediente e fittizio: «alla fine accetta la scelta che gli è stata imposta. Ma l’accetta soltanto nella sfera dell’atto, nell’azione. E’ impegnato, ma solo in ciò che fa, non in ciò che pensa» (J. Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Milano 2006).  - E così, disobbedire obbedendo, obbedire disobbedendo a tutto. Obbedire, ma a questo punto è ovvio, disobbedendo alla propria disobbedienza stessa: può essere che un certo rancore all’inizio aiuti, ma anche che alla fine incateni.

 

Come si vede, c’è del metodo. - Non facciamo distrarre dalle bizze del sarcasmo ozioso, sfogo infimo di chi in fondo, benché principe, come un Calibano da bordello bestemmia mentre esaudisce, ma non esaurisce, sé stesso Dio e il Mondo: «la ribellione a Teo è ribellione alla realtà. Difficilmente è la realtà a soffrirne. Nella storia dell’uomo le diserzioni dalla realtà hanno un profilo clinico ben definito…» (A. Frassinetti e G. Manganelli, Teo, in  G. Manganelli, Tragedie da leggere, Torino 2005)

Per esempio, quando Amleto si pone un quesito, non è meno d’un essere o non essere.

 

«Nella discussione si serve di antitesi persuasive, di aut-aut categorici. Ecco perché si fa sempre capire, non si preoccupa del rigore dei suoi discorsi.»

(K. Jaspers, Genio e follia, Milano 2001: a proposito di August Strindberg)

 

 

Potrebbe del resto non finire qui, non finire con una diagnosi: «Poiché sa che non si può curare il destino, non si spaccia per guaritore con nessuno. La sua unica ambizione: essere all’altezza dell’Incurabile» (E. M. Cioran, La tentazione di esistere). Un Gadda potrebbe visceralmente condividere, anche se mantiene fermo l’aut-aut: «il non essere è adattarsi alla vita e alla turpe contingenza del mondo, l’essere è agire, adempiere al proprio incarico (alla propria missione) andando, sia pure, incontro alla morte» (C. E. Gadda, I viaggi la morte). «Ma noi siamo, non so come, doppi in noi stessi, e ciò fa che quello che cediamo, non lo crediamo, e non possiamo disfarci di ciò che condanniamo.»

(M. de Montaigne, Saggi, vol. II, Milano 1986)

 

Chissà se Amleto ha fatto, come uno dei laconici eroi di Conrad, questo:

 

«Non importa quello che hanno fatto di noi, importa solo quello che noi abbiamo fatto di quello che hanno fatto di noi»

(A. Malraux, La condizione umana)


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