"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 5, ottobre  2003


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. 

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

Per "Interviste impossibili"  di Giorgio Manganelli:


5. Leopardi

 

 
 

Che Dio non abbia bisogno dell’immortalità degli uomini per ogni Suo spasso, si è sempre saputo. L’idea contraria, e cioè che gli uomini possano sopravvivere, larve o lèmuri, ombrìcole o licantropi, anche nel deserto di Dio, è un pensiero un po’ più strano e – se la parola vale – più “moderno”.

16 agosto 1824. 

Il giovane conte Leopardi, nel fiore febbrile dei suoi ventisei anni, inizia a scrivere “Il dialogo di Federico Ruysh delle sue mummie”: gli basterà una settimana.

Le mummie di Ruysch si risvegliano una volta l’anno ma sempre senza voglia: pigramente, in piena sleep inertia… Il loro sabba è una gnagnera caotica, il pandemonio querulo di morti ormai del tutto anonimi, dilavati ormai da qualunque pretesa d’Identità: esprimendosi appena in coro, per stupefazioni attonite e in fondo un po’ sceme… Ed è già questa una pigra fatica, un cincischiare per “Confusa ricordanza”, per stenti stanchi: “Profonda notte Nella confusa mente Il pensier grave oscura; Alla speme, al desio, l’arido spirto Lena mancar si sente…”.

Nel batter d’occhio di cinquecento anni, il dialogo coi defunti è dunque precipitato in una terra antipoda a quella di Dante, dove proprio la Morte sigillava e faceva di diaspro l’Identità. 

Tra i morti di Leopardi, nessuno ricorda niente. Da Mummia (e anche il celebre Islandese forse lo diventò…), la vita è una stupefatta amnesia: “Che fummo?…”

Questo è già il mondo delle interviste di Manganelli.


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