"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 5, ottobre  2003


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. 

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

Per "Interviste impossibili"  di Giorgio Manganelli:


6. Gaudì

 

 
 

Canto il tuo desiderio di eterno limite.

Federico García Lorca

A Barcellona, nel Venti, si condannava a morte dell’arte; la si eccedeva, superava, comprometteva in eterno, mascherandone peraltro gli alchemici risultati nel più bizzarro decorativismo. Uno sberleffo. Perché soprattutto tale onda extra-scultorea risultava semplicemente una nota in margine a un testo assente. Proprio come per la Sagrada Famiglia: facciata menzognera, infiorescenza eternamente caduca, “un ammicco e nient’altro”. La chiesa nessuno la supplica, la prega. Non esiste. Sagrada Famiglia, il gotico mediterraneo crivellato di “guglie di malaffare”, doccioni cospiratori, architravi lestofantini; tutto un “colmare di peccato un luogo sacro per essere assolutamente certi che il luogo sia irreparabilmente sacro”.

Paseo del Gracia: cromatismi impalpabili alla Debussy, fragranze di grigio e indaco come solo Goya giovane; eppure nessunissima disposizione alla deliquescenza, semplicemente ristagno di marosi scintillanti, manipoli di “balconi peccaminosi”, blasfemi per eccesso di sacralità, arpeggi architettonici che restituiscono l’eco amplificata e serpentina di epoca intera. Che non fu mai. 

Antoni Gaudì morì sotto un tram il sette giugno millenovecentoventisei. Vestiva il fragoroso squallore di un maglione a brandelli, le caviglie artritiche imbavagliate nelle garze, in tasca soltanto un vecchio Vangelo squinternato, e dell'uva intatta tra gusci orfani di noccioline. Non c’era più dolore nella sua vita, solo irrefrenabile genio. “Il était fort bien dalinien", avrebbe scritto di lì a poco Salvator Gala Dalì.

Gaudì: “mandriano di pietre” (Manganelli), spaccapietre rapito da sacrale lascivia nel plasmare le forme; folgore delle più apofatiche tenebre, e col solo, acciottolante risuonare del nome: Gaudì, godimento, in catalano.

Gaudì: più spagnolo che scultore, più pagano che cattolico, almeno nell’accezione parossistica della tradizione ispanica; antipode esatto di quel tal Le Corbusier, “calvinista e protestante”, “l'aspetto di chi mangia fiele" (Dalì), creatore dell'Architettura più autopunitiva del secolo

Gaudì: lo scolpire oltre il possibile scultoreo, sprofondare "nella" sensazione; dal nulla, nel nulla,  disegnare una casa secondo le forme del mare, "le onde di un giorno di tempesta", volo sciamanico di mosaici multicolori e insensati, rutilanti iridescenze gratuite: sculture di peyotl. 

Si soffre molto, e molto bene dinanzi alle opere di Gaudì, esattamente come Manganelli davanti alle tombe moghul o al tempio di Kailasa; esse sono il “sasso, e che insieme è lezioso, maestoso, affollato, taciturno, retto da un arcaico legame di simboli; ha qualcosa di angoscioso, di fondo, il sapore di una nascita da sempre in corso. [...] Si avverte qualcosa di spietato, di potente, di mortalmente amico.” (Esperimento con l’India). E ancora, provocano "nel corpo una sorta di fecondo malessere: dopo tutto, questa non è un'opera di virtuosismo, ma piuttosto un'impresa di alchimia minerale, un viluppo di visceri di sasso; è sacra questa impresa, ed è ampia, come se il tempio fosse una supplica e insieme un'astuzia per la cattura degli dei.”(Ibid.).


 torna a  

 

torna su