"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 5, ottobre 2003

 


Interviste impossibili  di Giorgio Manganelli

 

 

 

 

4. Bestiari blesi

 


 

Poi, a una data ora del pomeriggio, Elémire Zolla usciva dalla venerabile officina; attraversava esatto piazzetta Sant'Anselmo; spesso lo visitava puntuale la Perfezione. Un fruscio di fusa gattesche cadenzava il passo suo numinoso; felini più che corporei -i suoi maestri gatti- gli rendevano pubblica devozione. "Ho fatto incontri con uomini, donne, animali che mi istruirono: soprattutto con gatti, la cui indole si espresse in mosse di danza e in atti di gentilezza. Dei maggiori di questi incontri non oso parlare. So che quando parlo di animali, ai quali riconosco un’importanza pari o maggiore degli uomini, genero fastidio o incredulità. Ormai, passati i settant’anni, m'importa poco.” Già, gattomachie siamesi e persiane: le più rituali; la religione dei gatti, l’unica cui aderisse irresolubilmente l’arcangelico Zolla. Perché, in fondo, un micio è così esatto e premonitore, a dispetto delle più fangose opinioni, persino benaugurale, che nella fiaba gli è concesso annunciare la sorte del futuro principe (una gattina bianca qui se fait bien patte de velours).

Il Manga, nella sua qualità di tassonomista hilarotragoeda, si divertiva molto coi bestiari ancestrali: rintracciava personalissime genealogie, fondava araldiche teriomorfe, si proclamava Manguro del Pleistocene. Capitava, allora, di incontrarlo in strada e vedergli "strisciare addosso una lumaca involuta, argento muco e paziente: forse verrà il giorno che mi farà da ciambellano” (Agli dei ulteriori).

 Già dagli anni sessanta, poi, era stato invaso da "una subita tenerezza" per l'ameba, "nonnina senza occhiali"; perché, in fondo, "mi è difficile non amare questa discretissima delle mie antenate, questa manganelli dei grandi oceani del giurassico, ignara di gomitoli, di occhiali, di cerimonie cattoliche, né fedele né adultera, paziente al proprio destino invero piuttosto oscuro e ingrato, giacché a lei, venuta prima delle grandi religioni rivelate, doveva restare alquanto nebuloso il senso della gran faticata..." (Hilarotragoedia)

Nelle paludi, o nel Marais, ingannava il tempo carezzando un cavallo definitivo. Qualche volta si concedeva persino d’attraversare lo specchio assieme a un gatto mammone: "ci si saluta con un cenno quando ci incontriamo. Ho un rapporto civile, discreto, con i gatti. Amo molto l'animale quando prende su di sé la funzione di stemma, come la zebra e il canguro.” (La penombra mentale). Coi pennuti, invece, poche smancerie: "A Roma i piccioni sono rari; ingenui e fotografici, non interessano. Ci sono alcuni passeri. Ma come si fa  a intrattenere un rapporto costruttivo con un passero?  (Improvvisi per macchina da scrivere).

Assai più propizio, visto che lì s’ha da tornare, più propizio frequentare gli animalcules della terra fradicia, “miniatura di disfacimento”: vermi, bruchi, sanguisughe; o magari congiurare segretamente con le pantegane, anche loro –evidentemente- lontane parenti per linea verticale: "hanno baffi, corpo e animo tanfosi, sono simillime le une alle altre per la tristitia del corpo insieme adiposo e feroce, e la predilezione stercoraria. Frequentatrici di cloache, connaisseurs di merde e abili all'invecchiamento artificiale delle orine, hanno intenso e smaccato patriottismo delle fogne, provvedono di buon sterco quotidiano le famigliuole dentute, unghiate e dilette, votano a destra, hanno vocazione gregaria, domestica religiosa, come mostra il loro cannibalesco insinuarsi nella camera mortuaria dell'empireo." (Hilarotragoedia).  

Diffidare comunque di qualsivoglia opossum si ci presenti col titolo di "polonio australe”: potrebbe sempre rivelarsi "mio consigliere o mio sicario o mio uccisore!"(Agli dei ulteriori).   

 


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