"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 4, aprile 2003

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La Musona della Musica

 

 

Leonard Bernstein, 1956

 

A Oriente di Lenny

 

di Sophonysba Poliakov


 

Quanta Russia, quanto Oriente in Leonard Bernstein  del Massachusettes! (E dove tutti sentivano lo Yankee estroso ed estroverso, qui si è sempre sentito, appena un po' più sotto, qualcos’altro). 

 

Perfino io so che biografare vuol dire esagerare, ma da dove veniva il Lenny di “West Side Story”?... Ebrei russi, schiatta secolare di rabini di Volìnia, che per guizzo d’uno zio più sveglio si ritrovò all’inizio del Secol Breve nel sollievo del Mondo Nuovo:  1908, un Herschel Bernstein, stufo di patire allombra costante del pogrom, sotto occhi fissi di febbricitoso odio dostoevskiano, fuggì dove il mondo era un altro… Da quella Terra che tutto prometteva fu esaudito con una paradisiaca bottega di barbiere: chiamò allora a sé il resto della famiglia, e questa tutt’intera andò a piedi dall’Ucraina  fino a Danzica!… Traversato l'Oceano, quel povero nido d’Oriente vorticosamente s’americanò: ma “bernstein” vuol sempre dire “ambra”, e può l’ambra non portare in sé la foresta che la suggellò?


Era il 1908. Samuel, il futuro babbo di Lenny, da pulitore di pesce al mercato salì ben più in alto, con tutto l’orgoglio di chi dalla miseria si scaturisce da sé. Leonard nacque il 25 agosto del 1918, e, malgrado un padre che contro la musica aveva nel sangue tutte le parole del “popolo dei topi” di Kafka, fu un musicista: gli bastò - bimbo di otto anni - l’organo della sinagoga durante le funzioni.

L’Oriente da allora lo sostenne in ogni istante: anime russe, magiare, greche, ebree gli fecero da angeli: studiò il piano con Isabella Vengerova, la direzione con Mitropoulos di Atene, con Frizt Reiner di Budapest, e con il supremo Sergej Koussevitzsky che aveva fatto d’una Tanglewood qualunque il cuore musicale dell’ancora neofita America… 


 

Gran posto, gran ricettacolo, fu sempre per noi d’Oriente l’America!…

Non importa quanti di quei nomi si siano svaporati e chiamino al culto appena un po’ di noi ultimi fedeli: questo davvero non importa, perché anche quando sembrerà che non c’è più nessun Oriente, resterà nell’aria il mistero, la magica polverina:  e il nonsoché di struggenza ed euforia, e il morir sensuale nel ghirigoro del violino magiaro, e il far feste giudee nel deserto ironico di Dio, col clarino del senzaterra che ciabattando le abbracciò tutte: nostalgia più vecchia del mondo, fuga come vago ritorno ammesso al “lontano da dove?”… Chiaro che tutto questo esplodeva in Lenny quando la musica era di Gustav Mahler, dove non si “esagera mai abbastanza”, ma non solo lì...

 


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(Lo so, avrei dovuto scrivere di Bernstein e Mozart: soprattutto dell’incanto di quando suonò e diresse il concerto per pianoforte e orchestra n. 15 in si bemolle maggiore, K. 450… era il 1967, disco Decca più volte ripresentato al mondo… ma ce ne sarà, prima o poi, il tempo).

 

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Mosca 1959: Lenny con la moglie Felicia e Boris Pasternack

 


 

 

 

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