Quest’opera
è più di una
guida e di un quaderno di viaggio, non è un
semplice e dotto racconto da Grand Tour, ma
un’esplorazione profonda e intima, in cui, come
sempre, la descrizione dei luoghi respira insieme ai diversi
caratteri degli uomini che vi abitano.
E’ il resoconto dell’Italia dopo la caduta dell’impero e l’avvento
della Restaurazione.
In
questa nuova atmosfera, le idee di Henri Beyle, da sempre sostenitore di
Napoleone, risultano
pericolosamente sovversive, così decide di prendere alcune misure
precauzionali.
“Monsieur Stendhal, Ufficiale di cavalleria” è la firma
del libro per esteso. Stendal
è la cittadina vicino a Berlino, in cui nacque Winckelmann. Del Litto non cerca
possibili legami con l’archeologo,
ma nota che un nome tedesco, reso ancora più tedesco per l’inserimento
di quell’ "h", si
prestava ad allontanare i sospetti dei malevoli, ad esempio a Napoli, una
delle mete più importanti del suo viaggio, dove vi erano i Borboni, che
poterono riprendersi il trono grazie all’appoggio degli austriaci e
dei prussiani. Come ulteriore precauzione,
Beyle si fa passare per un ufficiale di cavalleria, perché questo
ruolo non avrebbe destato sospetti di
idee sovversive.
E
ancora più prudentemente, Milano non è citata
nel titolo del libro,
nonostante che a questa città siano
dedicate molte pagine!
Ecco
spiegato l’arcano di questo strano nome,
interrotto dal singhiozzo afono dell’H.
Comunque,
l’escamotage non servì a
niente: il decreto di espulsione, scritto
dal prefetto della polizia di Vienna nel 29 gennaio 1828, lo accusò di
essere un “pericoloso straniero e autore
di quell’opera malfamata”.
Non
un gioco, dunque, ma una scelta obbligata dal timore. Rimase solo lo
scherzo involontario (per una volta!) dell’H. A lungo i poliziotti che
lo pedinavano, come i suoi esegeti, compreso Balzac, autore di un articolo fondamentale sulla
Certosa di Parma, non seppero dove piazzarla. Il grafema senza
suono finiva sempre nel posto
sbagliato:
Sthendal, Stendahl,…