In
un giorno, nel 1840 – e dunque a cinquantasette anni – Stendhal
scrive a “Ramo” (anagramma di Roma) il suo elenco di richieste a
”God”.
Che sono divertenti e geniali per ironico senso della misura ed
esattezza.
In
quest'elenco di "Privilegi",
si noti l’articolo 3, sulla funzionalità del suo organo genitale:
“La
mentula
come l’indice, per la
durezza e il movimento; questo a volontà. La forma due pollici più
dell’alluce, stessa grossezza. Ma piacere con la mentula
solo due volte la settimana, 20 volte l’anno il privilegio potrà
mutarsi nell’essere che vorrà, purché quest’essere esista.
Cento volte l’anno saprà per 24 ore la lingua che vorrà.”
Piacere
e felicità però non coincidono – se non forse quando non si è
innamorati. Se il “piacere” è più vitale della “verità”,
la rischiosa “felicità” batte di gran lunga il “piacere”.
Dalla
“Vita di Henry
Brulard”:
“…per
me l’amore è stato sempre la cosa più importante, o meglio
l’unica. Non ho mai avuto paura di nulla tranne che di vedere la
donna amata guardare un rivale con intimità. Non provo collera
contro il rivale: “fa gli affari suoi”, penso; ma il mio dolore
è sconfinato e lancinante; tanto che devo buttami su una panchina
di pietra alla porta di casa. Nel rivale preferito ammiro tutto
quanto (…). Ogni altra afflizione non mi colpisce in confronto
neanche la millesima parte.”
Aggiungiamo
un corollario (im)politico:
“La
mia felicità sta nel non avere nulla da amministrare, sarei
desolato se possedessi 100.000 franchi di rendita in terre e case.
Venderei tutto alla svelta in perdita o per lo meno i tre quarti per
comperare della rendita. Per me la felicità è non comandare ad
alcuno e non essere comandato…”