"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8, luglio 2004


 

Sophonysba Poliakoff

 

 

..d'amòr venni alle soglie!

 

Pianti piccinerie e picci per Puccini


 

Questo compagno segreto tutto dedicato ai cip cip cinciallegri del Leopardi, m’ha fatto ricordare il primo manifesto di Madame Butterfly, dove la placida e piccina Cio-Cio-San guarda su un albero fiorito il nido di uccellini che avrebbe tanto voluto fosse il presagio giusto del suo amore.

 

Ma il vero punto confesso è un altro: il turbamento a ripensare quelle cose vorticose e un po’ pierine che il Leopardi dice a proposito del fatto che non vi sarebbe modo per dire cos’è bello e cosa no! E’ lì che m’è tornata alla mente una Madame Butterfly che andò in scena qualche mia vita fa, nel teatro allora ancora decadente della mia baltica decadutissima città di origine.

 

Le cosa andarono così.

Trovai un posto laterale susù in loggione, e, accanto a me, ingombrata da borsetta, sciarpa, e, soprattutto, da un vecchio scompigliato pellicciotto, si era accomodata una signora di moderata e certo irrimediabile grassezza. Come le si addiceva, la signora aveva un volto dolcissimo e due occhi che, già negli ultimi minuti d'attesa prima che le luci si spegnessero, parevano acquemarine disposte quanto meglio non si potrebbe al conforto misterioso e liberatorio del pianto.


Non starò ora a ripercorrere l'infelice storia della piccola Cio-Cio-San, ingannata atrocemente da un marinaio yankee volgare e chiassoso. Dico solo che l'opera quella sera raggiunse la misteriosa sublimità che i capolavori veri svelano proprio quando sono affidati a compagnie di canto imbarazzanti, guidate da maestri svaniti, accompagnate da orchestrali spenti da dalla torva abitudine a ogni piacere dell'arte.

 

Io, inquinata dalle mie sapienze minime ma già ingombranti su cosa fosse un canto e un accompagnamento, passai tutto il tempo della recita a far tra me e me la spocchiosa, e a irritarmi per gli archi che segavano i legni, per gli ottoni che foravano i timpani, e soprattutto per la carta vetrata che sembrava tappezzare le ugole sguaiate dei cantori. 

Avevo per di più osato presentarmi in teatro - pensate che bestia! - preparandomi alla recita con l'ascolto insistito della Butterfly di Karajan con la Mirella Freni... Quello era, infatti, il mio livello di estasi.


 

Oh, non era certo fatta di quest'arida pasta di spocchiosa la mia dolce vicina. Lei tutte queste cattiverie che ho appena sfogato, letteralmente le trascendeva: lei non ascoltava la soprano Talia, il baritono Aristarco, il tenore Fulgenzio, ma... Butterfly!, e nient'altro che lei, e non c'era attacco mancato, acuto infelice, fraseggiare balbo che potesse riportarla, dalle sue, nella misera valle di lacrime in cui in realtà si era... D'Amor era alle soglie, proprio come Butterfly, e io invece sul punto d'un harakiri...

 

Così, anche se allora non avevo mai letto una riga di Leopardi, il mio dispetto per quel Puccini spiaccicato venne pian piano sostituito dall’ammirazione per la mia vicina estatica. - Almeno per lei, lo spettacolo era come dev’essere la Messa per un buon cristiano, sempre insomma miracolosa, anche se il rito lo officia un prete più vizioso di Pinckerton e gli oranti sono tutti ladroni bestialissimi!


 

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