"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 7, maggio 2004

 

           Si comincia traducendo John Donne "sanza alcun sospetto"...

 

 

  Si stampi!?

 

       di Fiornando Gabbrielli


La storia è semplice: ho cominciato a tradurre due anni fa, incuriosito dal fatto che, pur sapendo poco o nulla d’inglese (ai miei tempi era il francese, che c’insegnavano a scuola, e bacchettate sulle mani se non ricordavi il pezzo da imparare par coeur), mi riusciva molto più chiaro il testo originale che non la versione italiana: e dire che era d’un poeta ritenuto difficile, spesso oscuro, come Donne. Allora comprai – vista anche l’esiguità dei pezzi presenti in quel libriccino – un più sostanzioso volumetto, in cui molti più brani erano sapientemente tradotti, e in un perfetto italiano. Però in prosa. Ora, a parte il poco riguardo verso il poeta, che avrà pur penato a mettere in bell’ordine tutte quelle parole, mettergliele in prosa, secondo me, è come stampare la Gazzetta Ufficiale in versi:  leggi e decreti ben rimati, con coppola finale, di modo che la gente se li ficchi bene in testa. Fu così che mi misi a tradurre Donne per conto mio – sempre un occhio, ovviamente, all’ipotetico, ma necessario lettore: nessuno scrive per se stesso e basta, a parte, forse, i coniugi Alberoni, che già comunque sono in due e chissà, si leggono fra loro. 


E cominciai proprio dal Sogno:

  

Per nessun altro, amore,  eccetto te,

Avrei interrotto questo dolce sogno 

E così via. Venne giù, la poesia, tutta d’un getto, come la lettera di Tatiana a Onegin, tanto che me ne stupii io per primo: il pezzo era leggibile, l’italiano scorreva, il senso c’era, la metrica pure: che volevo di più?

Sicché ogni giorno che passava, che le carte crescevano, e superavano in spessore, prima lo smilzo libriccino, e poi via via i più robusti (tutti quelli che riuscivo a trovare, di Donne: amici francesi mi regalarono le versioni di Robert Ellrodt; un mio figliolo, per il compleanno, tutta l’opera poetica, in inglese), naturalmente m’inorgoglivo, e al tempo stesso mi preoccupavo perché poteva essere benissimo, la ragione che mi faceva preferire sempre e comunque le mie versioni, la stessa per cui ogni scarrafone è bello a mamma sua. 


Per essere sicuro che questo mio timore non avesse fondamento reale (la paranoia, i complessi, la follia, si fregano le mani quando uno si mette a scrivere) decisi di sentire qualcuno del mestiere. 

 

Notato sulla Repubblica l’indirizzo del recensore di novità librarie, gli spedii per email, in sinossi, un testo originale con tre versioni più la mia, chiedendogli un parere. Augias (ormai l’ho scritto) si complimentò con me e mi presentò a Enzo Siciliano, il quale non solo apprezzò, ma mi chiese sùbito due pezzi da pubblicare su Nuovi Argomenti. Rassicurato, ma non del tutto (perché un saggista, un romanziere, un professore – non sarebbe il primo – potrebbe anche intendersi mica tanto di poesia) mi procuro il telefono di Giorgio Melchiori e lo chiamo: lo becco in casa per miracolo: sì, sì, gli mandassi pure qualche pezzo, pochi, caro, mi raccomando, perché il tempo è tiranno, e non ho più la vista d’una volta, buongiorno, arrivederci. 


Dopo qualche giorno di semidisperazione, anche d’autolinguacce allo specchio, perché risposta non arrivava, finalmente arrivò, e così positiva che, pover’uomo, m’invitò a Roma a  visitare  la  casa  del  suo  amico  Praz,  la  Casa  della  Vita,  e  mi raccomandò a sua figlia Miranda, che con Francesco Andreani dirige un sito letterario (e non solo: là troverai, lettore di buone letture, l’opera geniale, smascheratrice dell’alchimia parolaia, di Giuseppe Vaccarino).

 

 

Forte di questi appoggi (intanto anche Alessandro Serpieri si congratula per il mio Donne) mi presento ai vari editori: da Mondadori a Guanda, da Garzanti a Einaudi: niente: chi ha qualcosa di Donne già in catalogo risponde che ha già qualcosa di Donne in catalogo, e chi non ce l’ha non risponde nemmeno. Che fare? Aspettare il 2031? O forse, meglio, il 2072, centenari di morte e nascita? Proviamo, dico io a Siciliano, con qualcosa di più moderno. 


Lui mi propone Auden: The Sea and the MirrorIn un mese è pronto, e lui prova a piazzarlo da qualche parte, ma qualcuno lo avverte di stare bene attento perché Wystan Hugh Auden, il più complesso, se non il più grande poeta del ’900, è proprietà privata di Adelphi: se ne pubblichi anche un pezzettino si va per avvocati.

Poi Enzo, con Calasso, non è che ci vada a nozze, come Cadmo con Armonia. Sicché scrivo io a Adelphi, gli allego il Prologo, e il Musée de Beaux-Arts: la più bella poesia, questo è certo, del ’900: Giorgio Melchiori e sua moglie Barbara ci hanno ponzato sopra tutto un week-end senza riuscire a venirne a capo (ma veramente, a loro non è piaciuta nemmeno la mia versione). Hai avuto risposta tu, da Adelphi? Che gli ho comprato pure, in vita mia, una cofanata di libri? E allora godetevi, italiani, il Mare e lo Specchio che trovate in libreria.  

 

*°*

 

Per le traduzioni di Fiornando Gabbrielli, vai  al sito www.e-book4free.com

 

(Tutta la sezione tradire&tradurre di questo numero è dedicata alle traduzioni di F.G.)

 


 

 

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