"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 5, ottobre 2003


 

Sophonysba Poliakoff

 

 

...Shhhh!....

 

Da Renata Tebaldi a Claudio Arrau: la musica come arte (zen?) del silenzio


Una volta, nella cara gioventù, quando l’innocenza regnava sovrana sul bordo di ogni catastrofe, tanto da ritrovarcisi sempre presi dentro come topolini stupefatti, certe cose le si ignorava in modo quasi naturale. Lo stesso se le si sapeva, anche se al solito modo da cipria tra i trini, come una casta verità: il che suonerà a voi tutte desueto e patetico come una cartolina dal Titanic, ma insomma… Per esempio, delle lunghe tiritere del ditirambico faunetto abruzzese che si faceva chiamare Vate, a me incantò meno d'una parola: il “Taci” che inizia la smaccata ruffianeria della Pioggia nel pineto… quel taci aveva un punto esclamativo alla fine? Se no, ahimè, a me suona sempre come se ci fosse

 

…Ecco, il silenzio, il silenzio che è quasi tutto! Potrebbero le mie giovani allieve dimenticarlo? Dimenticare che ogni suono non è in fondo che la seta leggera dell’aria che per un attimo si raggrinza nel capriccio di una piega, nel fantasma d’un invisibile cirro errabondo, per poi subito rilasciare quella stessa seta nella sua calma preumana, priva di crespe e di drammi!… 

 


Carmen Melis

…il caro Liszt chiamò – geniale! – il secondo movimento del Chiaro di Luna di Beethoven “un fleur entre duex abîmes”: ogni nota lo sia! E lo sia, a parte naturalmente queste ciance, ogni parola!… Ora però vi chiederò, benché sappia che le vostre sottili dita – le piccole dionisiache! - scalpitino e non abbiano voglia di ascoltare me ma solo di suonare, vi chiederò di fare un piccolo ulteriore esercizio di pensiero e cioè di sentimento (mai seppi, io che son maldestra, la differenza ): sentire il silenzio che c’è non solo tra le note, ma dentro

Vi racconterò allora di Carmen Melis!… Certo che quasi nessuno è rimasto a saperne alcunché, eppure fu una magnifica cantante, e per sua suprema fortuna la maestra della Tebaldi! Fu lei che le insegnò a sentire la voce come… come una goccia d’olio sospesa sulla superficie di un bicchiere d’acqua… perché il suono deve avere sempre qualcosa da cui nascere e da cui sentirsi sostenuto: questo silenzio potente, questo centro segreto, da cui tutto nasce, a cui tutto torna!


Mi ritrovai un giorno per casa, una delle solite dimenticanze del mio adorabile nipote, un libro su Shakespeare dove si legge che con lui siamo dove “il silenzio è patria e meta della parola”: ecco, delle parole, e delle note!

(Lo so che son cose che, quando tutto va bene, s’imparano soprattutto da soli e appena invecchiando: allora, a certi “brillanti”, una volta così stupefacenti nei trilli e nelle ottave, capita, perdendo la luce della destrezza eccessiva, di diventare non solo buî ma profondi. - Che la musica conservi il segreto d’una certa forma di saggezza? A volte persino io, così disincantata, lo penso: quando sento, sotto le mani di qualche grande vegliardo, certe note venire davvero come le parole d’addio degli amanti di quel lambiccato di John Donne: note come sussurri che “fluttuano via dolci”, dagli armonici sospesi su silenzi consapevoli: basta allora il quasi niente del basso albertino d’una sonatina perfidamente facile di Mozart, per ritrovarsi nell’abisso: ricordate il vecchio Claudio Arrau?).



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