"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 5, ottobre 2003


 

Della manutenzione del piedino 

Rubrica di Elegantiae

 di Lord Cosmetico

 

*°*

 

 


Il y a de grands voyages qu'on ne fait bien qu'en pantoufles. 

 Jean Sarment

Il Criticume se ne faccia una ragione: il Setteciuento è anche il secolo del Marron Glacé. Anzi, direi soprattutto. Per non parlare della Babbuccia, inequivocabile stemma dell’Ancien Régime, simulacro della più preziosa Douceur de Vivre. Certo, le istorie letterarie patrie continuano ad assillarci con marsine rigorosissime e un po’ calviniste, silhouettes di onest’uomini severi, fautori del “luministico engagement” da Caffé, epperò così terribilmente sprovvisti d’Allure, Envergure, e dieci venti pirlipon sfarfallanti… No no, a noi apprendisti del Cosmetico, irrecuperabilmente oziosi e volages come siamo, quelle austerità ci garbano per nulla, ché ormai ci si diverte solo con i poemetti didascalici (purché siano di inaudita frivolezza!). “Piccoli libricciuoli” che lodano la Salubrità dell’aria, lo Zabaglione, il Rabarbaro; rimano bricconate sul Sofà, il Falpalà, il Taffetà; illustrano gli ultimi ritrovati dell'ottica newtoniana (spiegata alle Signore), l’uso e l'abuso delle lane flanelle, finanche la méthode, la plus ch’armante, di drappeggiare uno zendado veneziano (Madame Grandel, Paris-Venice, su prenotazione). 


Cari i miei aspiranti dandies, aprite dunque Ontologia e Teleologia della Pantofola, ovvero  dell’opportunità di vivere delicatamente, apritela a pagina cinque, capoverso secondo. Leggiamo: la Pianella è lo scudo araldico della Perfetta Comodità, impresa di chi assolve al proprio Imperativo Categorico semplicemente vestendo, e giammai si renderebbe ingrato agli dei abbigliandosi di fragorosa sciatteria. La Babbuccia è il suo talismano templare, analgesico contro l’ominoso ciabattio della vita moderna, attrezzeria indispensabile alla sopravvivenza del Gentleman, sempre più attentato da minacciose bande di infradito a piede libero. Pantofola feticcio, rito propizio anche alla Scrittura, complemento alla Creazione Artistica, siccome insegnano lo scialle vizzo di Croce, le mele marce di Heine, la calza annodata al collo di Nerval... 

Pantofole: di Nonna Speranza, di velluto granato, raso conciato (ricordate la Signora delle Camelie? laccava i suoi piedi da Urì inforcandone un paio turchino); ma anche di cimosa, panno, feltro, pelo di gnu o caribù; volendo persino di ferro! 


Lo raccontano i fratelli Grimm nella loro versione raccapricciante di Biancaneve: "le portarono con le molle, e le deposero davanti a lei. Ed ella dovette calzare le scarpe roventi e ballare, finché cadde a terra, morta."  

Babbucce, babbucce, soltanto Babbucce!, e "dei colori più petulanti e delle forme più capricciose, ornate di filigrana, contornate di lustrini, abbellite di nappine di seta e di piuma di cigno, stelleggiate e infiorate d'argento e d'oro, coperte d'arabeschi intricati che non lasciano più vedere il tessuto, e lampeggianti di zaffiri e di smeraldi".  (De Amicis a Costantinopoli).

Quanto agli usi, poi, i più vari: Aldino Palazzeschi -già futurista, poi ciabattone-  le scoprì da un mastro di via de’ Cestari, e se ne innamorò. Le trovava sottilmente ingegnose, ché gli consentivano di sgattaiolare sornione pei corridoi più muffiti di casa, lasciando di princisbecco le squadracce petulanti di critici che gli assediavano il tinello. Federico Zeri ne calzava spesso di siriane (la sua famiglia veniva di lì), e si esibiva in lodoleschi trilli e ammiccanti passi del ghepardo tra piante carnivore e biblioteche di Babele. Julien Green non avrebbe potuto capolavorare senza. 


Arbasino giovinetto lo ritrae dolcemente infagottato in gigantesche pantofole alla Mickey Mouse, nondimeno fiammeggiante col nastrino della Legion d'onore all'occhiello. (Un po’ come Claudel, che la rosetta se la appuntava anche sulla flanelle de nuit). 

De Pisis nell’animo suo si sentiva un Pascià, ne volle dunque un paio “Imperiali”; le comandò a un "venditore girovago da venticinque anni, sebbene padre di un milionario in America"; venne il giorno della consegna e il vecchio artigiano tanto fu rapito dalla grazia sultanina del Marchesino Pittore, che quasi quasi cadde genuflesso per il rituale bacio del Monogramma.  Tutto il contrario del bambinaccio Gargantua che a cinque anni era già uno scostumato e beveva botti di vino direttamente nelle pantofole (oltre a sostenere impunemente che "non v'ha forbiculo migliore d'un papero di copiosa pelurie, tenendogli però la testa fra le gambe"). 


 

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