Lo
raccontano i fratelli Grimm nella loro versione raccapricciante di
Biancaneve: "le portarono con le molle, e le deposero davanti a
lei. Ed ella dovette calzare le scarpe roventi e ballare, finché
cadde a terra, morta."
Babbucce,
babbucce, soltanto Babbucce!, e "dei
colori più petulanti e delle forme più capricciose, ornate di
filigrana, contornate di lustrini, abbellite di nappine di seta e di
piuma di cigno, stelleggiate e infiorate d'argento e d'oro, coperte
d'arabeschi intricati che non lasciano più vedere il tessuto, e
lampeggianti di zaffiri e di smeraldi".
(De Amicis a Costantinopoli).
Quanto
agli usi, poi, i più vari: Aldino Palazzeschi -già futurista, poi
ciabattone- le scoprì da
un mastro di via de’ Cestari, e se ne innamorò. Le trovava
sottilmente ingegnose, ché gli consentivano di sgattaiolare sornione
pei corridoi più muffiti di casa, lasciando di princisbecco le
squadracce petulanti di critici che gli assediavano il tinello.
Federico Zeri ne calzava spesso di siriane (la sua famiglia veniva di
lì), e si esibiva in lodoleschi trilli e ammiccanti passi del
ghepardo tra piante carnivore e biblioteche di Babele. Julien Green
non avrebbe potuto capolavorare senza.