Chi
frequenta un ristorante può essere o una persona solitaria che ha
bisogno di una razione di socialità, o un individuo che vuole evadere
dalla vita domestica, soave e insopportabile, o una brigata che tramite
un pollo con peperoni o una bistecca alla fiorentina, vuole acquistare
una simulazione meschina ma umana di libertà, di agio, di fasto. Il
ristorante è, è stato fino a oggi, un'oasi, un luogo onestamente
ambiguo, spesso rumoroso, in cui non di rado si placano le malinconie,
nascono o si spezzano teneri o sfiniti amori, si complottano futili
speranza per il futuro.
(Improvvisi per macchina da scrivere)
"Non
era facile trovare un luogo dove vedere Manganelli. Né casa sua, né
casa mia - erano il posto giusto per incontrarci. Aveva scelto lui il
luogo: un ristorante toscano presso Porta Pia." Così, in Ritratti
di donne, Pietro Citati ricorda il sodalizio trentennale col Manguro
goloso: una sontuosa amicizia vellicata da crostini, fegatelli e fagioli
all'uccelletto: un patto di deferente
complicità sancito -com'è d'uopo tra galantuomini- col nobile
sangue del Morellino.
Per
ogni amico, forse, una trattoria differente; alle sette e trenta si
cena: chi c'è c'è, chi non c'è "peste lo colga". Del resto
–ognun sa- con Kraus la puntualità era già ritardo, per Manganelli
addirittura peritosa calamità. Perché, poi, non è che sia così
agevole scegliere la trattoria più adatta ai ragionari pre e post
prandiali! Anzitutto s’ha d’aver cura di non imbattersi mai in una
qualche locanda fitta di lustrini, orrido erebo grigiamente frequentato
da larve impalpabili (epperò riflesse dagli specchi nell'atto blasfemo
di scommettere la propria vita a dadi); uno di quei luoghi spuri
"dove si gioca a flipper, si spediscono cartoline illustrate e si
acquistano rasoi di sicurezza” lì l’anima d’un orfano in
trasferta “drizza il pelo”. (Lunario dell’Orfano
Sannita)
Meglio,
assai meglio un ristorante che si riveli caldo rifugio per l’anima
nostra di bambini spartani; ottima anche una latteria, purché se ne
esca poi senza singulti; in centro o fuori delle mura, sempre
provvidamente trascurata dalle guide; oscura botola nella cui vertigine
inabissarsi... salvo poi ricomparire sani e salvi, serenamente chiusi in
cantina, le spalle esposte ai rischi della sala, il tovagliolo ormai
scolpito sulle ginocchia, ricomparire lì per accudire un carrello di
bolliti con gli acetelli a contubernale; e senza che la cerimoniosa
schiera dei camerieri stilizzati s’azzardi a interrompere il rito. (Si
provveda piuttosto a esiliarla in cucina!)
Il
ristorante: "luogo extraterritoriale, innocentemente amorale,
extratemporale"(Improvvisi), serraglio di leccornie, vaso
disinibitore dei desideri più impudichi, intima grotta in cui pascolare
voglie inappagate –invereconde-, roba da salle à manger
dell'Innominato: supplizi di supplì, salmastre salmodie di salmì...
Solido limbo ove concedersi accoppiamenti tutt'altro che giudiziosi,
"giocherellare con le sfrangiate nappe" delle Spezie, degli
Oli, perlustrare foreste di origani, valanghe di parmigiani;
e sartù al ragù, cameriere in tutù - cucù!