"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 5 ottobre 2003

 


Interviste impossibili  di Giorgio Manganelli

 

 

 

 

1.  Rischi al ristorante (olio sulla ribollita?)

 


Chi frequenta un ristorante può essere o una persona solitaria che ha bisogno di una razione di socialità, o un individuo che vuole evadere dalla vita domestica, soave e insopportabile, o una brigata che tramite un pollo con peperoni o una bistecca alla fiorentina, vuole acquistare una simulazione meschina ma umana di libertà, di agio, di fasto. Il ristorante è, è stato fino a oggi, un'oasi, un luogo onestamente ambiguo, spesso rumoroso, in cui non di rado si placano le malinconie, nascono o si spezzano teneri o sfiniti amori, si complottano futili speranza per il futuro. (Improvvisi per macchina da scrivere)

 

"Non era facile trovare un luogo dove vedere Manganelli. Né casa sua, né casa mia - erano il posto giusto per incontrarci. Aveva scelto lui il luogo: un ristorante toscano presso Porta Pia." Così, in Ritratti di donne, Pietro Citati ricorda il sodalizio trentennale col Manguro goloso: una sontuosa amicizia vellicata da crostini, fegatelli e fagioli all'uccelletto: un patto di deferente  complicità sancito -com'è d'uopo tra galantuomini- col nobile sangue del Morellino.

Per ogni amico, forse, una trattoria differente; alle sette e trenta si cena: chi c'è c'è, chi non c'è "peste lo colga". Del resto –ognun sa- con Kraus la puntualità era già ritardo, per Manganelli  addirittura peritosa calamità. Perché, poi, non è che sia così agevole scegliere la trattoria più adatta ai ragionari pre e post prandiali! Anzitutto s’ha d’aver cura di non imbattersi mai in una qualche locanda fitta di lustrini, orrido erebo grigiamente frequentato da larve impalpabili (epperò riflesse dagli specchi nell'atto blasfemo di scommettere la propria vita a dadi); uno di quei luoghi spuri "dove si gioca a flipper, si spediscono cartoline illustrate e si acquistano rasoi di sicurezza” lì l’anima d’un orfano in trasferta “drizza il pelo”. (Lunario dell’Orfano Sannita)

Meglio, assai meglio un ristorante che si riveli caldo rifugio per l’anima nostra di bambini spartani; ottima anche una latteria, purché se ne esca poi senza singulti; in centro o fuori delle mura, sempre provvidamente trascurata dalle guide; oscura botola nella cui vertigine inabissarsi... salvo poi ricomparire sani e salvi, serenamente chiusi in cantina, le spalle esposte ai rischi della sala, il tovagliolo ormai scolpito sulle ginocchia, ricomparire lì per accudire un carrello di bolliti con gli acetelli a contubernale; e senza che la cerimoniosa schiera dei camerieri stilizzati s’azzardi a interrompere il rito. (Si provveda piuttosto a esiliarla in cucina!)

Il ristorante: "luogo extraterritoriale, innocentemente amorale, extratemporale"(Improvvisi), serraglio di leccornie, vaso disinibitore dei desideri più impudichi, intima grotta in cui pascolare voglie inappagate –invereconde-, roba da salle à manger dell'Innominato: supplizi di supplì, salmastre salmodie di salmì... Solido limbo ove concedersi accoppiamenti tutt'altro che giudiziosi, "giocherellare con le sfrangiate nappe" delle Spezie, degli Oli, perlustrare foreste di origani, valanghe di parmigiani;  e sartù al ragù, cameriere in tutù - cucù!


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