"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero Numero 4, aprile 2003


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. 

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

Per Don Giovanni di Lorenzo Da Ponte e W. A. Mozart:

 


 

 

35. Carmelo Bene & J. A. Barbey d'Aurevilly

 

 


 

 

Too late… too late.

 

Otto metri quadrati, nessun dialogo solo musica trinciata come ragnatela; una bambina bacia le croci e suona una spinetta scordata, il vento sibila trapassando le pareti; i colori sono urlati, aggressivi, il film è ossessionato, ossessionate. Montaggio schizoide: quattromila inquadrature per un’ora esatta di riprese, immagini talvolta quasi impercettibili, le spuntinature corrette fotogramma per fotogramma con le aniline e le lenti di ingrandimento: un lavoro “da impazzire. E forse impazzimmo davvero. Dicono che Godard si rifiutasse di credere che tutti i mie film provenissero dal 16 mm. Non si capacitava”. 

 

Il Don Giovanni di Carmelo Bene, il più folle degli “hommage-delitto” siano mai stato perpetrati su  e a Barbey d’Aurevilly, l’Unico, el Desdichado, l’insuperato Maestro di fiammeggianti nefandezze, peccaminose santità (ma lo sapevate che soffocato da una crisi finanziaria, decise di mettersi nel commercio di oggetti liturgici? Per di più nei pressi di San Sulpice, la chiesa diabolica di Là-bas, il romanzo satanista di Huysmans. Praticamente come in Magrelli “e voglio un giorno farmi reliquia di me stesso”). 

Questa lettura del Don Giovanni, “film di un cervello schizzato, opera di un poeta pazzo alla Nerval”, è una summa del Mondo e della sua Rappresentazione, bulino che incide a sangue il  Dongiovannismo e tutto il resto.

 

Alla prima nessuno nessuno capì nulla. Presentato a Cannes nel 1970, e poi eccezionalmente anche in agosto, a Venezia, nei cinema si assistette a furibonde proteste: poltrone divelte, sedili incendiati, schermi distrutti…un fiasco epocale, da montarsi irreparabilmente la testa. 

Solo due vecchine -guanti ricamati e veletta- sulla Promenade di Cannes azzardarono: “Maestro, c’è qualcosa di Barbey nel suo splendido film?”. Le uniche a riconoscere nella claustrofobia delle immagini l’ordito del “diabolica” più soffocante, Il Più bell’amore di Don Giovanni.

Una bambina assiste all’incontro della mamma col suo amante; ne rimane sconvolta, si getta ai piedi del crocifisso, deve accorre persino il confessore, non c’è verso di tranquillizzarla. Solo alla fine, sciolta la tensione nelle lacrime, confesserà: ”Mamma, è stato una sera. Lui era nella grande poltrona vicina al caminetto, di fronte al divano. Vi rimase a lungo e quando si alzò io ebbi la disgrazia di andarmi subito a sedere nella poltrona lasciata vuota. Oh! Mamma!... fu come cadere nel fuoco: volevo alzarmi, non potevo… il cuore mancò! E sentii che… ecco: qui mamma!... sentii quello che avevo… era un figlio!”  

 

La scena iniziale è concepita sull’onda del catalogo mozartiano, con l’intenzione di demolirne il senso: Don Giovanni è orami un vecchio, “uomo rovinato dalle bugie”, il catalogo è soltanto un ventaglio di falsità. I costumi - citazioni da Ingres, Cranach, Rembrandt - coprono solo il “davanti”, la “facciata” della donna; una sola attrice interpreta tutte e dodici le amanti; la stessa donna, palesemente la stessa, ora truccata da grassetta, ora da piccina… La sua schiena è nuda,  anche il Re ormai lo è, tutti lo sanno:  la falsità della seduzione è finalmente palpabile “a pelle”.

L’inganno del catalogo può ora solo sbriciolarsi nello specchio infranto, “frammenti di volto frammenti di riso”.


 

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