"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 3 marzo  2003


 

 

Racconti di Kafka:

 

7. Impiegato di concetto

 

 

Scrivere per Kafka fu sempre una “professione”, la sua vera. Scrivere è il suo “lavoro”: e un requisito della sua felicità fu sempre trovare il modo di subordinargli tutto il resto della vita. Questa serena certezza restò sempre tale, anche se quel lavoro non poteva neppure nella più felice delle ipotesi portargli un guadagno. 

 

Ma questo non cambiò mai ai suoi occhi il fatto essenziale che scrivere fosse il suo “lavoro”: anche se era qualcosa saputo da pochi, anche se si svolgeva semiclandestinamente, anche se agli occhi del mondo egli restò uno scrittore inesistente. Le lettere alla fidanzata Felice dicono molto di questa consapevolezza professionale di uno scrittore che rimase per tutta la vita quasi del tutto inedito.

 

Allo stesso tempo, Kafka fu un ottimo impiegato che svolse i suoi compiti sempre con scrupolo e senza risparmiarsi. Sapeva farsi voler bene e rispettare ed ebbe sempre  l’apprezzamento dei suoi superiori.

Eppure letteratura e lavoro d’ufficio sono due vampiri che si succhiano il sangue a vicenda. Dal diario del 28 marzo 1911:

 

“…faccio l’impiegato di un istituto di assicurazioni sociali. Ora queste due professioni non si possono conciliare né ammettono una felicità comune. La più piccola felicità nell’una diventa una grande infelicità nell’altra. Se una sera scrivo qualcosa di buono, il giorno dopo in ufficio sto sulle spine e non riesco a combinare niente. Questo via vai va sempre peggiorando. In ufficio adempio esteriormente i miei doveri, non invece i miei doveri interiori, e ogni dovere interiore non adempiuto diventa un’infelicità che non s’allontana da me.”

 


 

 

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