"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 3, marzo 2003


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. Proviamo a segnalarne qualcuna

 

 

Per i racconti di Kafka:

 

8. Urzidil

 

 

Cometa del 1628

 

 

A riprova che anche un amore grande e fedele può nutrirsi benissimo d’una selva di malintesi, già da Max Brod, le parole  più sprecate per Kafka sono state tristi e pensose: angoscia, alienazione, colpa, Dio, profezia, legge...

Ma, se non si sente nei suoi racconti la coincidenza di riso e catastrofe, se ne perde il mistero essenziale. “Kafka non ha sofferto per noi: si è divertito per noi!”: così, con tanto di punto esclamativo, Kundera nei Testamenti traditi.

 

Nella vita non era diverso. Johannes Urzidil nel suo Di qui passa Kafka (Adelphi), scrive che quasi tutto in lui era “ironia”. - Il sorriso, la luce più misteriosa del volto, è il ricordo che di Kafka hanno conservato tutti quelli che lo conobbero: “chi incontrava Kafka non lo vedeva certo oppresso da tetre impressioni giovanili” (M. Brod); “è molto difficile, quasi impossibile, considerare disperato quest’uomo aperto a tutte le impressioni, e i cui occhi spandevano una luce così soccorrevole”  (F. Weltsch). E anche alla fine, mentre la tubercolosi lo uccideva, spesso sorrideva in silenzio, con “lo stesso sorriso che lo accompagnò dalla fanciullezza” (E. Utitz).

 

Due settimane dopo la sua morte, Urzidil, allora molto giovane, ebbe il compito di pronunciare un breve discorso alla cerimonia che a Kafka dedicarono gli amici. Quel necrologio è in questo libro. Tra gli altri saggi, il più bello è il primo, “Nella Praga dell’espressionismo”, dove la città in poche pagine sbalza fuori vitale, contraddittoria, cosmopolita e, come di lei si dice sempre, magica.

Rispetto a quanto si legge nel fondamentale “Kafka. Biografia della giovinezza” di Klaus Wagenbach (Einaudi), Urzidil dà di Praga un quadro più rapsodico e agiografico, con meno ombre soprattutto per quel che riguarda la convivenza delle sue tre anime, tedesca, ebrea e ceca. “Non andarvi se cerchi una felicità senza nuvole” ha scritto anche Ripellino nella sua “Praga magica” (Einaudi). E Kafka stesso sentiva Praga come una città crudele, con artigli tali, la “mammina”, da impedire ogni fuga.

 A Urzidil interessa di più ridarci l’euforia d’una città geniale; una cosa non esclude l’altra.

 

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