L’anno
della “ghianda”, direbbe lo psicoanalista più in auge del mondo
(J. Hillman, Il codice dell’Anima): nel 1912 Kafka sentì infatti aria
di rivelazione: nell’inverno tra il 1911 e il 1912 buttò giù la
prima versione del “romanzo americano”; in giugno, per la prima
volta, fu al cospetto di un editore per la pubblicazione del suo primo
piccolo libro (Meditazione);
a settembre scrisse in una sola notte Il Verdetto (o
Condanna che dir si voglia:
in tedesco Das Urteil),
poi cominciò la seconda versione del romanzo americano, e infine, tra
novembre e dicembre, scrisse La metamorfosi.
Quasi
sempre con la sensazione umanissima di non combinare niente di buono.
Ma
ora, entriamo in un film di Lubitsch: qualcosa come
Scrivimi fermo posta.
Sempre
a cavallo tra il 1911 e il 1912, Franz cominciò a frequentare la
compagnia di guitti yiddish, girovaghi poverissimi provenienti dalla
Polonia, che recitavano al “Hermanns café-restaurant Savoy”:
attore principale era Jizchak Löwy, presto grande amico di Franz
Kafka, ma schifatissimo dal padre Hermann, che lo definì un
“insetto” (e Kafka per quella grande Musa ch’è la
“vendetta”, avrebbe detto Dante, scrisse La metamorfosi).
Löwy
fece nascere in Franz – per tutta la vita collezionista di
teologie e parabole - l’interesse, altrimenti rimosso
nell’integrata e borghese famiglia di Hermann, per il mondo
chagalliano degli ebrei orientali.
In
mezzo a tutta questo scialo di boheme, l’amore: a casa di Max Brod, in agosto, Kafka contemplò per la
prima volta (viso gessoso, corpo tetragono: un Sironi? un Casorati? un
Rosai?) Felice Bauer: un coup de foudre da
cui divampò una virtualissima relazione che durò quasi sei anni, e i
cui piaceri, per lo più epistolari, forse avrebbero dovuto essere
pagati con il pegno d’un coito, quanto meno matrimoniale e
procreativo, qua e là (così, a un certo punto, si teme nel Diario).
La
cosa dice sulle tendenze sessuali di F. K., per fortuna, pochissimo:
che non si prenda moglie per farci l’amore era da sempre una ovvietà.
- Controprova: quando Franz si fidanzò con la figlia d’un
calzolaio, Julie Wohryzek, il padre Hermann lo accusò di essersi
fatto infinocchiare proprio da “quello”, escrescenza di desiderio
da scaricare invece al bordello (la mamma assentiva convinta).
A
proposito di procreazioni: sempre nel dicembre del 1911, era nato il
primo nipotino, figlio di Elli, e da lì l’idea irrinunciabile del
grande padre Hermann di dare una sistematina a tutta la famiglia: in
particolare, di associare Franz al genero, marito di Elli e padre del
nipotino, nella prima fabbrica d’amianto di Praga. Per uomini come
Hermann (quando se ne perderà lo stampo?), tra il dire e il fare non
c’era un lampo: sborsò subito di tasca sua la quota e fece del
figlio un “imprenditore” a fianco del cognato: la metamorfosi di
Franz sarebbe così stata da un essere ancora pericolosamente
adolescenziale in quell’uomo vitruviano del secol nuovo che è
l’industriale. Franz pensò subito di gettarsi dalla finestra.
Quando
poi perfino la sorella Ottla si schierò dalla parte del padre contro
quell’Amleto da appartamento che gli doveva sembrare il fratello,
Kafka scrisse un sacrosantissimo, e amletico, “Li odio tutti in
fila”.
Ah!…
in estate Franz, soggiornò per tre settimane allo “Just’s
Jungborn”: “istituto modello per un regime di vita puro e
naturale”. La ricetta della salute era “luce, aria, fanghi,
acqua”. Nudismo e dieta vegetariana: noci, latte, burro
freschissimo, patate, insalate, caffè d’orzo.