“... tu hai ragione infatti: non ci sono amori infelici...”
(E. M. Remarque, Lettera a M.D., 14 dicembre 1938)
Vedi come sono i giornalisti: escono
finalmente le lettere di Remarque alla Dietrich
(Erich Maria Remarque – Marlene Dietrich,
Dimmi che mi ami, Archinto, Milano 2002) e cosa leggi
nelle recensioni che appaiono un po’ dappertutto? Dappertutto la
faccenda di Remarque impotente, che però poteva promettere di essere
“una lesbica meravigliosa”, e della gioia incantata della Dietrich di
fronte a questa promessa (“Mio Dio che sollievo! Mio Dio, se ho amato
quell’uomo!”). –Se si fosse letto tutto il libretto, magari ci si
sarebbe sentiti in dovere di aggiungere che si trattava di impotenza
psicosomatica, come tale aleatoria e capricciosa, che, a leggere le
lettere, fu superata nel tempo ispirato e paziente dell’amore.
Remarque e Marlene si conobbero a
Lido di Venezia. Siamo nel settembre del 1937. Nell’introduzione alle
lettere di Werner Fuld, leggi che
fu “l’ultima grande storia d’amore del secolo ventesimo, un’illusione
grandiosa, zeppa di bugie e d’autoinganno, però illuminata dal fuoco
di bengala delle parole di Remarque, che non fu mai tanto scrittore
quanto in queste lettere intime alla sua algida amante.”
Forse è persino vero.
Le lettere vanno dal novembre del
1937 al
1970, dunque ben oltre la fine della relazione (nel
1940) e fino alla morte di
Remarque: alla fine sono sempre più diradate e laconiche, ma con un
amore dichiarato fino alla fine. Marlene li amori li faceva coesistere
nel cuore, che del resto, “è
grande”
mentre “è la vita che è piccola” (M. Cvetaeva).