"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 11  settembre 2005

 

 

Marlene Dietrich: parole per la Musa


 

 

7.  Per un marito

 

 

 


 

“…lo spostamento che in ogni film di Lubitsch smentisce ora il dialogo ora le immagini, e più spesso entrambi. Ma in Lubitsch l’immagine stessa può sdoppiarsi, sospendersi in perfetta ambiguità: Angelo (dove l’accordo tra Lubitsch & Raphaelson inventa dalla solita commediola di base uno straordinario personaggio astratto, Marlene-Angelo, che è solo una luce, un volto che gioca il ruolo di un motivo musicale….) termina con un obbligato lieto fine che ci mostra però la coppia “legittima” di spalle, i volti (quelli di per sé ambigui di Herbert Marshall e di Marlene) invisibili e illeggibili…”

(E. GHEZZI, Ritocchi di Lubitsch, postfazione a L’ultimo tocco di Lubitsch)

 

Cosa si può salvare di un matrimonio? In Angelo, come Eyes Wide Shut non sei sicuro se il lieto fine sia promessa o minaccia.

Naturalmente c’è un marito adeguato, a cui compete il destino opaco e legittimista,  magnanimo, affettuoso, perfino galante (“A te piace l’opera, io la detesto: perché non dovremmo andarci?”), in realtà assente; e questo non solo per un lavoro abnormemente prestigioso (alla Società delle Nazioni!), ma soprattutto perché irreparabilmente distratto dalla sicurezza ripetitiva di un amore ridotto ad affetto, pigramente sicuro nel suo svolgersi mondano tra gala galanterie e galateo…

 

Il marito è l’uomo sazio che non capisce più la fame (“E’ inutile discorrere con un uomo innamorato”), tanto meno fame per la sua donna, che non riconosce nel blablà infinito che gli dedica un suo amico che se n’è appena infatuato. - Un po’ di vita gli torna nelle vene quando rischia la detronizzazione dal trono maritale, quando cioè sbatte contro l’eclatante sospetto che la moglie potrebbe averlo tradito (come siamo prevedibili…).

 

°*°

 

Rientrava nell’obbedienza a un dogma di Hollywood, obbligo morale che in Lubitsch diventa sfida retorica, che Marlene alla fine scelga il marito. – Ma Lubitsch, così mozartiano in questo, sa giocare col genere e la regola sovranamente. – Marlene, che alla fine torna solo moglie, è qui davvero un mistero. Fa intuire di muoversi tra confini sfumati fino all’indefinitezza: prima temeraria e poi prudente, saggia e rassegnata, forse di nuovo innamorata volenterosamente, ma restando evanescente, galleggiando su doppiezze insondabili (“Che genere di vita hai condotto? Che genere di donna sei?” le chiederà il marito finalmente turbato)…

 

Lubitsch ci lascia con un lieto fine - “mossa vincente di un cinema che riesce a non concludersi” (E. GHEZZI, Ritocchi di Lubitsch, postfazione a L’ultimo tocco di Lubitsch) - che non consolò neppure Hollywood. Fu uno dei suoi rari fiaschi commerciali.

 


 

torna su

 

 

torna a