“…lo spostamento che in ogni film di Lubitsch smentisce ora il dialogo
ora le immagini, e più spesso entrambi. Ma in Lubitsch l’immagine
stessa può sdoppiarsi, sospendersi in perfetta ambiguità: Angelo
(dove l’accordo tra Lubitsch & Raphaelson inventa dalla solita
commediola di base uno straordinario personaggio astratto,
Marlene-Angelo, che è solo una luce, un volto che gioca il ruolo di un
motivo musicale….) termina con un obbligato lieto fine che ci mostra
però la coppia “legittima” di spalle, i volti (quelli di per sé
ambigui di Herbert Marshall e di Marlene) invisibili e illeggibili…”
(E. GHEZZI, Ritocchi di Lubitsch, postfazione a L’ultimo
tocco di Lubitsch)
Cosa si può salvare di un matrimonio?
In Angelo, come
Eyes Wide Shut non sei sicuro
se il lieto fine sia promessa o minaccia.
Naturalmente c’è un marito adeguato, a
cui compete il destino opaco e legittimista, magnanimo, affettuoso,
perfino galante
(“A te piace l’opera, io la detesto:
perché non dovremmo andarci?”), in realtà assente; e questo non solo per
un lavoro abnormemente prestigioso (alla Società delle Nazioni!), ma
soprattutto perché irreparabilmente distratto dalla sicurezza ripetitiva
di un amore ridotto ad affetto, pigramente sicuro nel suo svolgersi
mondano tra gala galanterie e galateo…
Il marito è l’uomo sazio che non
capisce più la fame (“E’ inutile discorrere con un uomo innamorato”),
tanto meno fame per la sua donna, che non riconosce nel blablà infinito
che gli dedica un suo amico che se n’è appena infatuato. - Un po’ di
vita gli torna nelle vene quando rischia la detronizzazione dal trono
maritale, quando cioè sbatte contro l’eclatante sospetto che la moglie
potrebbe averlo tradito (come siamo prevedibili…).
°*°
Rientrava nell’obbedienza a un dogma
di Hollywood, obbligo morale che in Lubitsch diventa sfida retorica, che
Marlene alla fine scelga il marito. – Ma Lubitsch, così mozartiano in
questo, sa giocare col genere e la regola sovranamente. –
Marlene, che alla fine torna solo moglie, è qui davvero un mistero. Fa
intuire di muoversi tra confini sfumati fino all’indefinitezza: prima
temeraria e poi prudente, saggia e rassegnata, forse di nuovo innamorata
volenterosamente, ma restando evanescente, galleggiando su
doppiezze insondabili (“Che genere di vita hai condotto? Che genere di
donna sei?” le chiederà il marito finalmente turbato)…
Lubitsch ci lascia con un lieto fine -
“mossa vincente di un cinema che riesce a non concludersi”
(E. GHEZZI, Ritocchi di Lubitsch,
postfazione a L’ultimo tocco di Lubitsch) - che non
consolò neppure Hollywood. Fu uno dei suoi rari fiaschi commerciali.